Lettera intorno al suonar le campane
in tempo procelloso
P. Giovambatista da S. Martino
(Nuovo Giornale Enciclopedico d'Italia, Aprile 1794)
Pregiatissimo Amico.
Io sono sensibilissimo alle gentili vostre espressioni, ed all'amichevole vostra cortesia, onde vi degnate onorarmi col chiedere il mio poco apprezzabile sentimento intorno al quesito: se il suon de' sacri bronzi solito a farsi per pia istituzione, durante il tempo procelloso, sia atto a richiamare i fulmini. Voi sapete, mio dotto amico, essere opinione invalsa comunemente fra le genti del basso popolo, e sostenuta da qualche mediocre Letterato, che il detto suono abbia una grande influenza per tirare a se la materia fulminea; e vi è noto altresì, che presso una potenza limitrofa v'ha ordine espresso di non dover suonare in tali circostanze. Noi rispettando sempre con ossequioso silenzio le ragioni politiche, che possono aver dato impulso a tale divieto e restringendoci solo alle opinioni volgari, e comuni, sarem sempre cauti, in non permettere, che abbiano esse a costituire la norma de' nostri pensamenti: l'uomo che esamina, e riflette, non sarà mai corrivo a prestare il suo giudizio, se non a quanto si uniforma al buon senso, o viene autorizzato dai fatti, dall'esperienza, dalla ragione.
Per conoscere frattanto, se il suono delle campane abbia la forza di attraere il fuoco elettrico dalle nubi conviene prima esaminare, d'onde venga originata l'esplosione dei fulmini, e per qual motivo colpiscano essi con più frequenza gli edifizj più elevati. La legge dell'equilibrio, la gran legge, io dico, dell'equilibrio, che regna universalmente in tutti i fluidi, che probabilmente dipende dalla legge universale dell'attrazione, che forma il punto di contatto fra gli esseri i più disparati, o lontani, ella è dessa altresì che dà impulso alla caduta de' fulmini. Già, come a tutti è noto, il soggiorno ordinario, perenne, costante, ove risiede, d'onde parte, ed ove fa di nuovo ritorno il fluido elettrico, è il nostro globo terracqueo, chiamato perciò dai Fisici de' nostri tempi, serbatoio comune della elettricità. Ora ne' paesi caldi, e generalmente in ogni clima, durante gli ardori della state, s'innalza dalla superfizie del globo una eccedente quantità di vapori acquei, i quali essendo uno de' migliori conduttori, traggono seco un torrente impercettibile di materia elettrica[1]. Eccoci pertanto un ammasso di elettricità positiva, raccolta entro una nube procellosa, e circondata per ogni parte da un corpo isolante; eccoci un ampio tratto di superficie terrestre divenuta elettrica per difetto: eccoci fra la nube, ed il terreno parecchi strati di aria, la quale essendo uno di que' corpi, che noi chiamiamo elettrici per natura, impedisce la libera comunicazione fra le due opposte elettricità della terra, e delle nubi: eccoci, in una parola, tolto l'equilibrio. In questo stato di cose, se ci fosse possibile di spingere fin dentro al corpo della nube una spranga, od altro corpo metallico, il quale, senza punto essere interrotto, scendesse fino al terreno; l'equilibrio, mediante questa comunicazione, verrebbe tosto restituito. L'elettricità positiva della nube scenderebbe tranquillamente, e senza scoppio lungo una spranga, per diffondersi a tutto quel tratto di terreno, che fosse elettrico per difetto. Per mancanza di questo mezzo il fuoco elettrico della nube non può discendere al terreno, se prima non vince la resistenza, e l'opposizione che come corpo isolante gli forma l'aria frapposta. Quindi è, che egli sceglie sempre la via più facile, ed ivi si apre preferibilmente il sentiere, ove trova minor ostacolo; e quindi altresì la ragione per cui i campanile, gli edifizj, le torri, e generalmente tutte le fabbriche di considerabile elevatezza, sono tanto soggette alla caduta de' fulmini. Imperciocché egli è certo, che quanto più in alto si erge l'edifizio, tanto minore è lo strato di aria interposta tra la sua sommità, e la nube, e per conseguenza meno difficile a vincersi l'ostacolo che incontra il fulmine nel discendere dalla nube[2].
Conosciuta la fisica, genuina, e reale cagione, onde le fabbriche elevate sono soventemente percosse dai fulmini; finché i sostenitori della volgare opinione non provino ad evidenza in qual modo, e per quali ragioni il suon delle campane confluisca egli pure a richiamare i fulmini, mi crederò lecito di poter sostenere, che il detto suono considerato fisicamente in se stesso[3], non abbia veruna influenza a questo riguardo. Contuttociò per non azzardare una proposizione, che avrebbe potuto sembrare gratuitamente asserita, per togliere ogni ombra, e ogni pretesto di dubietà intorno a questo punto, per decidere vittoriosamente la presente quistione, non volli dipartirmi dal sicuro, ed incontrastabile mezzo dell'esperienza. Approssimai quindi ad una bottiglia di Leyden sopraccarica di elettricità un piccolo svegliarino di metallo, a tale oggetto trascelto, perché fosse in mia libertà il far che risuonasse, oppure che se ne stesse in silenzio, nell'atto che lo avvicinava alla bottiglia. Un grandissimo numero di volte ho io replicata questa prova; né per quanta industria, circospezione, e cautela abbia praticata, non mi fu mai possibile distinguere, che lo svegliarino spogliasse la bottiglia della sua elettricità o più prontamente, o con più di energia, o a maggiore distanza, quando se ne stava battendo, di quando se ne rimaneva cheto, ed in silenzio. Variai in seguito gli sperimenti: in luogo di una sostanza metallica, accostai alla bottiglia di Leyden un corpo coibente, incapace di ricevere l'elettricità, quale fu appunto un bicchiere di vetro, che facea risuonare a mio piacimento. In fine il suono è sempre suono, qualunque sia il corpo sonoro, che lo produce; e se questo possede alcuna virtù di attraere il fluido elettrico dee sempre esercitarla indipendentemente dalla materia che ne forma il soggetto: il fatto sta, che il tintinnio del vetro prolungato anche per ore non giunse mai a diminuire di un minimo l'elettricità della bottiglia. Questi sperimenti, molte volte reiterati, ed in varie guise ripetuti, fanno conoscere apertamente, che il semplice suono non ha altrimenti la proprietà di tirare a se il fuoco elettrico delle nubi: né contro una prova sì costante, luminosa, e palmare vagliono punto i ragionamenti, e molto meno i sofismi in contrario.
Ma il suono, si dice comunemente, rompe l'aria, ed apre così un facile sentiere alla caduta del fulmine. Mai nò, mio illustre amico, che il suono non rompe l'aria; e a voi me ne appello, che possedete le giuste teorie dell'essenza non meno, che degli effetti del suono. Il suono non fa altro che indurre delle placide ondulazioni concentriche negli spazi aerei. Gl'increspamenti cagionati dalla caduta di un sasso entro un lago di acqua, ce ne somministrano un'idea del tutto analoga. Queste ondulazioni aeree hanno per centro il corpo sonoro le quali successivamente dilatandosi, formano de' cerchj sempre più ampj, e spaziosi. Sicché lungi dal richiamare una corrente di aria verso il centro, d'onde partono, sembrano doverla anzi spingere più lontana. Ma orsù, lasciamo pure il volgo nella sua opinione, giacché non è egli suscettibile di queste idee per lui troppo complicate, e difficili, e concediamogli, che il suono rompa l'aria. Non per tanto domando io, chi meglio del vento è mai capace di romper l'aria? Eppure siegue egli il fulmine nella sua caduta la direzione del vento? A voler sostenere che il suono abbia la facoltà di richiamare i fulmini, converrebbe fingere, che egli avesse a produrre un vacuo tra il corpo sonoro, e la nube, il che è affatto insostenibile, e ripugna del tutto all'idea, che abbiamo del suono. Ma anche in questo erroneo e fallace supposto, lungi dall'accrescere il nostro periglio, il suono non farebbe altro, che renderci più sicuri dai tristi effetti del fulmine. Imperciocché tolta in allora la resistenza dell'aria, il fluido elettrico scenderebbe tranquillamente dalla nube lungo questo vacuo, senza esplosione, e senza scoppio, dacché lo scoppio non nasce, se non a motivo della resistenza, che incontra il fluido elettrico nel dover sormontare un corpo coibente, quale nel caso nostro è l'aria[4].
Da quanto finora ho esposto, voi, pregiatissimo amico, rimarrete, mi lusingo, fermamente persuaso, che il suono delle campane non abbia veruna influenza pel richiamo de' fulmini, e che se i campanili ne sono con frequenza percossi debbasi attribuirne la causa alla loro elevatezza. In quanto alla pratica, noi potremo conchiudere, che se il campanile non è armato di conduttore elettrico, sarà sempre un rischio de' più tremendi, o che si suoni o che non si suoni, il che è affatto indifferente, il rimanervi al di sotto, durante il tempo burrascoso. Se poi il campanile si trova ne' convenienti modi premunito di un tal preservativo; si potrà allora suonare con tutta sicurezza, senza timore di verun sinistro accidente con la sola avvertenza, che quegli, che suona, non se ne stia appoggiato al conduttore medesimo, per tema che scorrendo lungo esso la folgore, una porzione di materia fulminea non avesse forse a scagliarsi contro di lui, avvegnaché meno idoneo a tradurla, di qual che sia il conduttore medesimo.
Con la più sincera amicizia ho l'onore di essere, ec.
Zara, questo dì primo del 1794.
[1] Potrebbe forse sembrare a taluno, che la qui esposta teoria fosse contrariata dal fatto; ma non lo è altrimenti, qualora vi si rifletta attenzione. Quanto più infuocati, ed ardenti sono i raggi solari, tanto maggior copia di vapori devono sublimarsi; ed in conseguenza sembrerebbe, che anche una dose maggiore di fluido elettrico dovesse essere trasportata alla regione delle nubi; dacché i detti vapori ne fanno l'ufficio di conduttore: eppure si osserva, che ne' climi più caldi quasi mai non succedono temporali in tempo di state, quando il sole è nella massima effervescenza; ma soltanto nella stagione invernale, allorché il caldo è più moderato, e più mite. Egli è verissimo che negli ardori estremi s'innalza una maggior quantità di vapori; ma questi vapori medesimi vengono, dal calore stesso oltre ogni credere attenuati, e volatizzati; sono essi tenuti in una perfetta dissoluzione dall'aria, divengono, al pari dell'aria stessa, chiari, e trasparenti, perdono la facoltà d'inumidire, ed insieme quella di condurre il fuoco elettrico. Quindi ne' massimi ardori minor dose di elettricità vien trasferita dalla terra alle nubi.
[2] Mi si obbietterà forse, non essere tuttavia deciso, che i fulmini discendano dall'alto in basso. Io non ignoro siffatta quistione; accordo anzi di buon grado, che quantunque la più parte de' fulmini scenda dall'alto, perché per lo più succede, che le nubi sieno elettriche per eccesso, ed il terreno per difetto; pure siccome alcune volte avviene il contrario, cioè, che il terreno sia desso elettrico in più, e la nube in meno; perciò in questi casi il fulmine dee scoppiar dal terreno, e portarsi alle nubi. Contuttociò in quanto all'effetto la cosa è sempre la stessa. Poiché dirigendosi il fluido elettrico anche dalla terra alle nubi, incontra sempre il medesimo ostacolo dell'aria; sceglie quindi il punto di minor resistenza; si dirige perciò alla sommità delle torri, per indi lanciarsi più facilmente alla region delle nubi.
[3] Se il suono delle campane considerato fisicamente in se stesso non ha veruna influenza per richiamo de' fulmini molto meno possede esso una tale virtù, allorché voglia soltanto considerarsi in linea morale, e secondo l'intenzione, onde fu istituito, La chiesa intende anzi col detto suono di rimuovere, e di allontanare vie maggiormente la nube temporalesca con tutti que' tristi effetti, che da essa potrebbero derivare.
[4] La resistenza, che come corpo idioelettrico forma l'aria, ella è dessa la causa dello scoppio, che nasce nella caduta de' fulmini. Quindi col premunire di conduttore elettrico gli edifizj, ci liberiamo bensì dai danni della folgore, ma non arriviamo ad impedire il suo scoppio; pel motivo, che tra la punta del conduttore, e la nube vi rimane tuttavia uno strato di aria molto considerabile, attraversando il quale nasce lo scoppio. Se ci fosse possibile di stabilire una colonna di vacuo tra il conduttore e la nube; oppure di spingere la punta del conduttore medesimo fin dentro alla nube, la materia fulminea vi troverebbe una via, per cui scendere tranquillamente senza incontrare alcun ostacolo, e quindi senza produrre veruno scoppio.
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