lunedì 26 marzo 2012

LETTERA
Al Chiarissimo Padre D. Francesco Maria Stella
Professore di Filosofia nel Collegio de' Padri Bernabiti di Udine
e Vice-Segretario di quella pubblica Accademia

Ove si ricerca,
d'onde venga somministrata alle piante
tutta quella quantità di acqua,
ch'è richiesta al loro nutrimento.


P. Giovambatista da S. Martino
(Opere, Tomo I, Venezia 1791, pag. 175 -195)
(Già pubblicata in Opuscoli scelti sulle Scienze e sulle Arti, Tomo XIV 1791)


            Eccomi nella bella occasione di darvi, mio pregiabilissimo amico, un pubblico attestato della mia sincera venerazione, e stima, rimasta finora chiusa fra gli angusti spazj dell'amicizia, e del cuore, col sottoporre ad un tempo al purgatissimo vostro giudizio alcune mie Osservazioni dirette ad indagare, d'onde venga somministrata alle piante tutta quella quantità di acqua, che si osserva necessaria al loro nutrimento. Un uomo qual voi vi siete, degno della più alta reputazione, che fa onore co' suoi talenti all'Italia, ch'è pieno di forze vive nel procurare il bene de' suoi simili, che impiega ogni suo studio per arricchire d'altrettanti abili cittadini la Patria, quanti sono i numerosi suoi allievi, non può a meno di non eccitare in me stesso un vivo sentimento di piacere nel vedermi fatto degno della letteraria vostra corrispondenza, con la speranza che non vorrete defraudarmi di que' suggerimenti, che saranno atti a rettificare i miei sbagli. Io non giungerò con questo scritto ad appagare la finezza delle vostre idee: mi terrò appieno contento, se di errore in errore, profittando de' vostri lumi, giungerò al conoscimento della nuda e schietta verità.

            Dopo le belle sperienze de' moderni Fisici non ci è più lecito oramai di dubitare, che le piante abbisognano di una considerabilissima quantità di acqua pel loro nutrimento. L'osservazione costante ha pienamente confermata questa verità, che la ragione, e l'esperienza vengono dallo stabilire di unanime concerto. Noi stessi ne rimarremo affatto convinti, qualor ci piaccia esaminare questi due punti: quale sia la dose del fluido, che contengono in se stesse le piante; e quanta la copia, che giornalmente ne tramandano pe' vasi esalanti da tutte le parti della loro superficie, mediante la insensibile loro traspirazione. Fui curioso di sapere quale in realtà fosse il rapporto tra la quantità della parte fluida, e quella della parte solida in alcune specie di piante; ne feci alcune prove, ed il risultato fu tale, che m'ingerì nell'animo una specie di ammirazione, quantunque io sia montato con tali suste, che non sono molto suscettibili agli urti dello stupore. Presi un verdeggiante ramo di noce, il quale appena staccato dal tronco pesava precisamente dramme 576; lo esposi per un'intera Estate all'aria, ed al Sole, finché fosse ridotto a un perfetto diseccamento; ebbi l'attenzione, che neppure una foglia ne andasse dispersa; quando il ramo mi parve del tutto arido, e pienamente diseccato, il pesai di nuovo, e l'ho trovato di sole dramme 65 grani 27. Sicché l'acqua di questo vegetabile era in confronto alla parte solida prossimamente, come nove ad uno. Feci contemporaneamente la stessa prova con varj altri rami di orno, di ontano, di salcio, di ciliegio, di pesco, e la proporzione ne fu pochissimo differente. Le piante erbacee contengono una quantità di acqua ancora più eccedente: ho trovato essere il suo rapporto con la parte solida, come dodici, come quindici, e talvolta come venti ad uno. Il celebre Signor Bertholon procede ancora più oltre. Un legno, dic'egli, per quanto si supponga inaridito, e secco, non è tuttavia spoglio di tutta la sua acqua di composizione; mentre abbrucciandosi, si vedrà sortire a densi vortici del fumo, il quale non è che un residuo degli acquei elementi, che annidavano tra gl'impercettibili meati della sua sostanza. Che si riduca in cenere questo vegetabile, che si pesi la sua parte residua, e si vedrà non rimanervi di solido che del suo peso totale[1].


            Se dalla quantità dell'acqua, che contengono in se stesse le piante, si raccoglie quale debba esser la dose di quel fluido elemento, di cui esse abbisognano per la loro nutrizione, questa medesima verità ci viene comprovata dalla copia dell'umore, ch'esse continuamente trasudano per la insensibile traspirazione. Lo spirito di osservazione, che costituisce il carattere del nostro secolo, ci ha fatto rilevare, che un albero di mezzana grandezza ha comunemente da quindici in ventimila foglie, e che ogni foglia traspira dieci grani di acquosità in un giorno. Secondo questo calcolo la giornaliera traspirazione di un albero ordinario sarebbe di trenta libbre di acqua per un di presso. Per non metterci a pericolo di errare tra le speculazioni di una ideale filosofia, la quale alcune volte non ha altro fondamento, che quello di una fantasia esaltata; fin da quando mi occupava intorno alle cause, che producono la nebbia de' vegetabili, esposte nella mia Memoria coronata, ho concepita l'idea d'una serie di Osservazioni vegeto-statiche, che non potei allora intraprendere, ma che ho poi eseguite in appresso, dalle quali con la maggior precisione ho potuto racorre la quantità del fluido acquidoso, ch'entro un dato spazio di tempo vien traspirato da varie piante. A questo effetto mi son procurato parecchj vasi di terra invernicciati, in ciascuno de' quali cresceva una pianta di specie diversa, ed ognuna di esse era vegeta, rigogliosa, e robusta. Dopo di averle abbeverate, ho chiuso di bel mattino il dì 22 luglio 1787 l'orificio di ciascuno di questi vasi con una lamina di piombo, lasciandovi il solo foro per cui strettamente passasse il fusto della pianta, lutando con tutta esattezza le commissure, affinché l'umido del terreno non avesse per niuna parte a svaporare. Indi pesati i miei vasi con entro le piante, gli esposi all'aperto per lo spazio di 24 ore. Allo 'ndomani, quando il Sole ebbe rasciugata tutta l'umidità delle piante, tornai di nuovo a pesarle, notando la diminuzione del loro peso, la quale dovea essere in grazia della sola traspirazione della pianta. Per questa via ho conosciuto, che una pianta di cedro, durante lo stesso tempo, avea traspirato once 8; un cespuglio di formento a tempi, e circostanze uguali onc. 18; un gambo di maiz perdette once 7 dramme 5 di acqua; un cavolo ordinario restò diminuito di once 13; una pianta di girasole fece la perdita di once 34. Avendo in seguito ripetuta la medesima sperienza con una pianta di gelso presa da un vivajo, e ciò a varie stagioni dell'anno, osservai che nel Verno la traspirazione era quasi nulla, e nel tempo di Estate la sua traspirazione media fu di oncie 18. Da ciò con un calcolo assai facile a verificarsi si ricava, che un vivajo di piante poste alla distanza di un piede l'una dall'altra per l'estensione di un campo di misura di tavole 840, supponendo che ciascuna di esse traspiri once 18 di acquosità in un giorno: se tutta l'acqua da esse traspirata potesse raccorsi, e conservarsi entro il recinto dello stesso campo, in termine a' sei mesi della State, ch'è il tempo della maggior traspirazione, questo umor traspirato verrebbe a formare un lago dell'altezza di pollici 45[2].

            Ora non essendo possibile di rivocare in dubbio la verità della massima, che venghiamo dallo stabilire, cioè, che si richieda una grande quantità di acqua pel nutrimento delle piante; nasce naturalmente il quesito, come possa il terreno umettato dalle scarse piogge della state supplire allo stretto bisogno di tante numerosissime squadre di vegetabili, che popolano la superficie del globo[3]. Questa difficoltà non ha lasciato di acquistare un grado di vie maggior peso fin da quando ho cominciato a mettere in esatto confronto la summa dell'annua svaporazione con la quantità dell'acqua, che ci ritorna in neve, in grandine, in pioggia. La quantità media della pioggia è qui in Vicenza di pollici 45 all'anno; e quella di svaporazione di pollici 73; il che prossimamente si riduce come 5 a 8. Ora se l'acqua che discende di volta in volta avesse unicamente a servire per beneficio delle piante; se niuna perdita si avesse a fare di questo prezioso elemento, ogni difficoltà sarebbe tosto levata; la quantità della pioggia uguaglierebbe il consumo annuo, che abbiam calcolato farsi dalle piante, ed ogni cosa sarebbe così ridotta ad equilibrio. Ma subito che un torrente impercettibile di esalazioni, e di vapori va continuamente staccandosi dalla superficie del suolo; quando appena caduta la pioggia, ella torna di bel nuovo a sublimarsi in vapore; ed allorché l'annua svaporazione eccede poco meno che al doppio la quantità dell'acqua piovana; ci rimane sempre ad indagare da qual parte possano avere i vegetabili quanto è richiesto pel loro nutrimento.



            Molti, per togliere di mezzo la sorgente di questa ambiguità, attribuiscono ad un errore di calcolo il marcato disequilibrio tra l'acqua che svapora, e la pioggia che discende. La quantità della svaporazione, che di giorno in giorno si sta osservando, non è, dicono essi, che apparente. Si accorda, che dalla superficie dell'acqua comune possa svaporare, anzi realmente svapori da 73 pollici in un anno; ma da ciò non ne siegue altrimenti, che anche dalla superficie del terreno inumidito abbia a svaporare la medesima quantità di acqua. Il mescuglio delle varie particelle terrestri di sabbia, di creta, di tufo, di renischio, di marna, frapposte alle molecule dell'acqua, dee servire d'impedimento e di ritardo alla volatilizzazione de' vapori. In effetto si sa, che i sali fissi disciolti nell'acqua ritardano sempre la svaporazione; ed io stesso ho già sperimentato, che l'acqua marina, tuttoché assai meno densa, di quella che sia un ammasso di terra umida, e fangosa, non isvapora in paragone dell'acqua comune, che come tre a sette.

            Per decidere autenticamente di ciò, che da questo specioso raziocinio ci vien suggerito, una prova di fatto era qui necessaria; dacché siam rimasti convinti, che l'argomento di analogia il più delle volte riesce fallace, ed incerto. Presi a tale oggetto due vasi d'egual diametro, ed apertura, l'uno de' quali l'ho riempiuto di acqua comune, e l'altro di una pastiglia di terra, e di acqua; indi, avendoli prima pesati, gli esposi amendue alle variazioni dell'atmosfera, al sole, al vento, all'aria, con la sola avvertenza, che se ne rimanessero al coperto dalla pioggia. Otto giorni appresso gli pesai di nuovo, ed ho trovato, che la svaporazione del recipiente in cui era il terreno inumidito fu in rapporto a quella dell'acqua pura come 292 a 200, cioè prossimamente come tre a due; sicché la terra umettata svaporò quasi un terzo di più dell'acqua semplice. Questa sola sperienza, che in seguito ho più volte ripetuta, val più di cento ragionamenti in contrario. Di qua io presi motivo d'intraprendere una serie di molte osservazioni di questo genere, coll'esporre alla stessa maniera una quantità di varie sostanze terrose, di olj, di spiriti, di sali, mescolati con l'acqua. A canto a questi mescugli io teneva sempre collocato un recipiente di acqua semplice, il cui decremento mi servisse per termine di confronto. Avea l'attenzione, che i vasi fossero della medesima apertura, e che le materie svaporanti se ne rimanessero esposte alle medesime circostanze. Notava di tratto in tratto la diminuzione del peso accaduta in grazia alla svaporazione. Molte volte ho replicati questi esperimenti, da' quali ho raccolto i seguenti risultati, che possono essere riguardati come altrettante verità dalla Natura stessa confermate. 1. Che tutte queste sostanze, le quali rimangono solamente mescolate, e non disciolte con l'acqua[4], quali sono per esempio la sabbia, la calce, la marna, la creta, le segature di legno, la terra vegetabile, le foglie stritolate, il vitriolo sì verde, che azzurro, le limature de' metalli, e simili, accelerano da principio la svaporazione, e la rendono a circostanze eguali più abbondante, di quella dell'acqua semplice. 2. Che quanto più il mescuglio di queste materie con l'acqua è grossolano, ed imperfetto, tanto più copiosa riesce la svaporazione. Quindi l'acqua mescolata con la limatura de' metalli, con le raschiature del legno, con l'arena, svapora assai più di quella, ch'è unita con la terra vegetabile, con la creta, ec[5]. 3. Che a misura, che il mescuglio di queste sostanze medesime si va condensando, anche la svaporazione proporzionatamente diminuisce, in guisa che dopo i primi giorni ella si rende uguale a quella dell'acqua pura, indi si fa ognora più lenta. 4. Che tra le sostanze, le quali sono capaci di essere perfettamente disciolte nell'acqua, quelle che sono più volatili dell'acqua stessa, come l'alcali volatile, lo spirito di vino, ne accelerano la svaporazione, sempre relativamente alla loro dose. 5. Che tutte le altre materie, cui l'acqua serve di mestruo, e quindi capaci di una vera chimica dissoluzione, quando sieno queste meno volatili dell'acqua stessa, ritardano più, o meno la svaporazione. In questa classe vengono riposti i sali fissi, il sal marino, lo zucchero, il sale di Epson, il tartaro fisso, il sal di Glaubero, cui devo aggiungere anche l'acqua di calce[6]. 6. Finalmente che la svaporazione di tutte le dissoluzioni perfette succede in ragione inversa al grado della loro concentrazione. Quindi se l'acqua, per esempio, che contiene una quarantesima parte del suo peso da sal marino, diminuisce di un'oncia, a tempi, e circostanze uguali non diminuirà che di mezz'oncia, quando sarà ridotta a contenere la ventesima parte dello stesso sale.

            Avvegnaché però la unione di tutti questi risultati sembri imbarazzare con grandiose difficoltà il punto, che abbiam per le mani; pur la Natura lungi dal distruggere con opposti attentati la concatenazione de' suoi lavori, in mezzo alle apparenti contraddizioni, operando in silenzio, giunge al conseguimento del gran fine, che si avea proposto. Quindi ancorché esigano i vegetabili una eccedente quantità di acqua pel giornaliero lor nutrimento, quantunque la copia della svaporazione, che si compie rasente la superficie dell'acque, sia molto superiore a quella della pioggia; ancorché il terreno di fresco inumidito contribuisca d'una maniera efficace a rendere più copiosa, e più celere la medesima svaporazione, e quindi a scemare le sorgenti, che sembravano destinate al ben essere della vegetazione; con tutto ciò non ha mai mancato, né manca d'ordinario alle piante quanto è richiesto al loro bisogno. Il tempo d'inverno, ch'è il tempo di assopimento, e d'inerzia per la maggior parte delle piante, parlando almeno delle indigene, in cui poco, o nulla attraggono di umore dal terreno, è altresì il tempo delle maggiori piogge. Fin d'allora se ne inzuppa abbondantissimamente la terra; discende l'acqua a più piedi di profondità; egli è questo quel serbatojo comune destinato dalla Natura pe' tempi di maggior bisogno. Giammai non ci sarà fatto di scavare alcun poco il terreno senza trovarlo quando più, quando meno penetrato dall'acqua; e rari saranno i casi, in cui scendendo un po' più al disotto, non si trovi l'acqua stessa in volume. Ora all'aprirsi della novella stagione, acquistando i raggi del Sole una maggiore possanza, penetra il calore sempre più addentro il terreno; l'acqua ivi rinchiusa si combina cogli elementi del fuoco, acquista un certo grado di volatilità, si riscalda, si solleva, si dilata, s'apre un passaggio pegl'impercettibili meati del terreno, ascende come per altrettanti tubi capillari fino alle sovrapposte radici per ivi servire al sublime magistero della vegetazione[7]. Né è da temere, che resti sì di leggieri esaurita l'interna sorgente, da cui dipende il ben essere di tutto il regno vegetabile. I dirotti acquazzoni, che sopravvengono di tratto in tratto nella state, sono destinati a ristorarne le perdite. Ove non è fuor di proposito il far rimarcare, che nello spazio di otto anni continui, dacché io tengo conto delle meteorologiche vicende, tre sole volte in tempo di estate siam rimasti privi di pioggia per quindici giorni di seguito[8]; doveché ne' mesi d'Inverno, quando poco, o nulla esigono di umore le piante, abbiam trascorsi più volte i ventiquattro, i ventotto, e finanche i trentatre giorni senza stilla di pioggia, o fiocco di neve.



            La perspicacia del vostro intendimento, che in vece di seguir le mie idee le previene, non tarderà a conoscere, che giunta l'acqua sotterranea, come testé io andava rammentando, in vicinanza alla superficie, potrebbe subire il suo destino, di rimanere sempre più combinata cogli elementi del fuoco, e quindi sublimarsi in vapori, senza recare il minimo sollievo alle piante; anzi questo è appunto quello, che realmente succede ne' terreni aperti, e solivi, sgombri da ogni sorta di vegetabili. Ma parlando de' luoghi intralciati per ogn'intorno da piante, come sono i boschi, i vigneti, i giardini, le praterie, i seminati, ove un po' al disotto al terreno formasi un intreccio di germogli, barbicelle, e radici, che serpeggiano in tutti i sensi, e costituiscono, incrocicchiandosi a vicenda, una specie di maglia; a misura che ascende l'acqua per gl'interstizj del terreno, pria di giungere alla superficie, viene assorbita dalle avide boccucce di quesle radici, senza che poco, o nulla se ne disperda inutilmente in vapori. Una verità ella è questa della più grande importanza, per comprovar la quale fin dall'anno scorso ho ideata, ed eseguita un'esperienza, che mi sembra affatto decisiva. Ho presi due gran tubi di vetro d'un piede di diametro, dell'altezza di due piedi, ed aperti da amendue i lati. Gli collocai diritti verticalmente, l'uno sull'erba di un prato, e l'altro sopra un terreno, entro al quale era certo non esservi radice alcuna di piante. All'apertura superiore di questi due tubi adattai il loro capitello, ed il loro refrigerante, in guisa che venissero essi a formare una specie di lambicco. Affinché l'erba, che stava racchiusa entro al tubo eretto sul prato, non avesse con la insensibile sua traspirazione a sconcertare i risultati delle mie prove, ebbi la precauzione di raderla prima, non lasciandovi altro di essa che le sole radici, ed il tronco reciso. Erano questi a guisa di due distillatoj, che la Natura stessa veniva a mettere in azione. Imperciocché scosso l'umido sotterraneo dal calore de' raggi solari dovea ascendere alla superficie, ed ivi convertirsi in vapore entro alla capacità de' tubi, indi in forza del refrigerante posto al di sopra, condensarsi in goccie, come succede ne' lambicchi ordinarj, e scendere poscia pel becco inclinato entro il recipiente. Per lo spazio di sei ore tenni così montati questi due apparecchj, e sempre esposti al sol cocente di Luglio. Al termine di questo tempo, pesando l'acqua raccolta in ciascuno de' due recipienti, trovai che quella dell'apparato posto sul terreno sgombro da radici fu di grani 519, e quella dell'altro collocato sull'erba del prato di grani 10; sicché la svaporazione del primo fu 52 volte maggiore di quella dell'altro[9]. Prova evidente che le radici delle piante assorbono quasi tutta l'acqua, che si sublima dal terreno prima che venga questa a risolversi in vapori. Ecco dunque la via quanto semplice, altrettanto degna della ponderazione di un Filosofo, che tiene la Natura, malgrado l'enorme quantità dell'annua svaporazione, e nulla ostante la forza maggiore del terreno inumidito nel promuoverla, per largamente provvedere al ben essere delle sue produzioni.

            Questo, mio pregiatissimo Amico, è quanto ho potuto raccorre, seguendo le tracce dell'esperienza, intorno a questo punto. Lo scioglimento di questi dubbj non sembrerà forse tanto vantaggioso all'umanità, quanto esigerebbe lo spirito di beneficenza, da cui voi siete animato; ma sovvengavi, che tutto può concorrere ad aumentare il deposito delle umane cognizioni; e che ogni piccola notizia, attesa la concatenazione con altre idee, cui spesso serve di sviluppo, è atta a guidarci al discoprimento delle più utili, ed interessanti verità.


[1]    Mi rimarebbe non so che da obbiettare a quanto viene qui afferito dal Chiarissimo Signor Bertholon, mentre col ridurre le piante in cenere, devono esse rimanere spogliate di qualche cosa di più, che non è la sola parte acquidosa.
[2]    Eccone il calcolo già bello, e formato. Un campo di tavole 840 comprende piante 30.240 poste alla distanza di un piede. Ciascuna di queste piante traspirando once 18 al giorno, in tutte deono traspirare libbre 45.360 in un giorno; e ne' sei mesi della State, cominciando dal primo Aprile fino all'ultimo Settembre arrivano a traspirare libbre 8300,880 che formano piedi cubici di acqua 115.290 computandone libbre 72 per ogni piede cubico. Ora piedi cubici 115.290 di acqua raccolti entro all'estensione di un campo di misura, ch'è di piedi quadrati 30.240 formano un'altezza di pollici 45 linee 9.
[3]    Egli è vero, che le piante attraggono il loro nutrimento non solo dal terreno, medianti le radici, ma altresì dall'aria inumidita, per mezzo de' vasi assorbenti; pure nel tempo della State, ch'è il tempo del maggior bisogno de' vegetabili, assai scarsa è l'umidità dell'aria per porla in conto della eccessiva copia di fluido, che si rende indispensabile per la loro nutrizione.
[4]    Conviene attentamente distinguere la dissoluzione dal semplice mescuglio. Se le parti di un corpo essendo mescolate con un fluido se ne rimangono sparse, e fluttuanti per entro allo stesso fluido ed il rendono più denso, ed opaco; la unione di queste due sostanze non forma che una semplice mistura, ossia, un mescuglio puramente meccanico. Per l'opposto se appresso l'infusione, le particelle del corpo immerso si uniscono per una combinazione la più intima cogli elementi del fluido dissolvente, e se malgrado la differenza della specifica loro gravità formano un tutto omogeneo, chiaro, uniforme, trasparente, il risultato dee riguardarsi come una vera chimica dissoluzione.
[5]    La calce estinta sembra formare un'eccezione a questa regola. Essa tuttoché formi con l'acqua un composto molto più aderente, che non fa la sabbia, pure accresce notabilmente più di essa la svaporazione; il che probabilmente deriva dalla combustione del fuoco, principio, che entra come uno de' principali ingredienti nella calce.
[6]    Ecco la differenza da quando la calce è puramente mescolata, e quando si trova disciolta nell'acqua. La mistura di calce aumenta di molto la svaporazione, la sua dissoluzione la ritarda.
[7]    Io convengo qui pienissimamente col Chiarissimo P. Stella, cui ho l'onore d'indirizzare questa mia. Oltre al calore del Sole, che fa sollevar l'acqua sotterranea fino alle radici delle piante ammetto con esso lui due altre cagioni come concorrenti a questo grandioso magistero; queste sono ed il calor centrale, e l'elettricità. Circa l'esistenza del calor centrale oramai non sembra dover più rimanere alcun dubbio: troppe sono le prove della sua realtà. Ora questo calore tendendo continuamente, secondo la legge universale di tutti i fluidi, all'equilibrio si porta verso la superficie della terra, e traggittando nel suo passaggio per mezzo agl'innumerevoli conservatoj di acque, trae seco una quantità grande di particelle acquee, le quali entrano poscia pegli aperti meati delle radici: a quella guisa stessa, che il fuoco di un fornello poi introducendosi per entro all'acqua del sovrapposto pentollino, ne porta seco, e ne solleva in alto una dose rimarcabilissima di acquei vapori. L'elettricità similmente sia ella atmosferica, o terrestre, sia per eccesso, o sia per difetto, concorre essa pure d'una maniera la più efficace a somministrare la necessaria umidità alle piante. Suppoghiamo, che l'atmosfera sia elettrica per eccesso. I vegetabili, che sono buoni conduttori del fuoco elettrico, con le loro foglie opportunamente acuminate attraggono una quantità grande di questo fuoco, e con esso una dose corrispondente di particelle acquose, quando se ne trovino di precipitate per l'aria. Sia per l'opposto l'atmosfera elettrica per difetto, e la terra per eccesso. In questa circostanza il fuoco elettrico per ristabilire il tolto equilibrio, dalle viscere della terra dee passare all'aperto dell'aere, e tragittando pel raunamento dell'acque sotterranee, condurne seco in molta copia. Quindi le radici delle piante, le quali sono sempre miglior conduttore delle stesse particole terree, e si trovano altresì terminate in punte acutissime, attraggono con preferenza il detto fluido elettrico, e si appropriano l'acqua, che seco avea condotta.
[8]    Nella storia de' tempi noi troviamo essere alcuna volta trascorsi più mesi senza pioggia, anche in tempo di State, ma questi sono fatti molto rari, i quali formano un'eccezione al corso regolare, e comune della Natura.
[9]    Una somma circospezione si richiede per eseguire a dovere questo esperimento. La dose dell'acqua che si ottiene nei recipienti è in ragione composta al calore del sottoposto terreno, ed alla frigidezza dell'acqua dei refrigeranti, tutte le altre cose d'altronde eguali. Quindi affinché il confronto sia esatto, è necessario che i due distillatori sieno d'un diametro eguale, che il terreno sia egualmente riscaldato, e che i refrigeranti sieno mantenuti amendue al medesimo grado di frigidezza per tutto il tempo, che dura l'esperienza.

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