martedì 5 giugno 2012

ARTICOLO III.

Quali sieno gli sperimentati, ed utili rimedj sì preservativi, che curativi, universali, e particolari per difendere, e liberare cadaun erbaggio, grano, frutto dalla dannosissima malattia della Nebbia.

            Non altrimenti come nelle malattie dell'uomo giova, sopra ogni credere, al Medico l'averne prima scoperta[1] la causa, riconosciuta io pure la vera origine della Nebbia de' vegetabili, mi lusingo d'averne omai in pugno eziandio la guarigione. Imperciocché se la Nebbia delle piante, come abbiam dimostrato ne' precedenti Articoli, consistesse nella ostruzione di quegli organi, che destinati sono alla loro traspirazione, e se una tale ostruzione vien cagionata da quel misto di esalazioni, e di vapori, che forma uno stato di viscosa materia alla lor superficie; nel togliere appunto dalle piante questa stessa materia, o nel far sì, ch'ella divenga inefficace, dovrà consistere il sicuro rimedio d'una tale malattia. A questo scopo pertanto furono dirette le nostre più serie agronomiche sollecitudini; mentre poco ci avrebbe giovato l'essere discesi fin dentro a' cupi nascondigli della Natura per rintracciare del pernicioso malore la rea cagione, se con tutto lo zelo d'un animo penetrato dagli interessi del pubblico bene non ci fossimo prestati a ricercarne eziandio la sospirata guarigione.

            In due classi io distinguo tutti i rimedj, che si possono utilmente applicare per la Nebbia de' vegetabili: altri che si chiamano preservativi; perché atti a prevenir la malattia, col far sì, che la materia ostruente non sia capace di otturarne i pori; altri che si dicono curativi; perché idonei a guarir la stessa malattia col togliere, e levar via dalla superficie delle piante la indicata ostruente materia. I primi impediscono l'effetto della Nebbia, i secondi ne tolgono la cagione; e tanto gli uni quanto gli altri si possono considerare o come rimedj universali, o come rimedj particolari.

            Fra tutti i rimedj preservativi universali, che in gran numero vengono annunziati sì dagli antichi, che da' moderni Agronomi Scrittori, la maggior parte de' quali già cadono da se, come quelli, che fiancheggiati non sono dalle dovute sperienze, un solo ne ho trovato, che reggesse alla forza di tutte le prove, e che atto fosse a prevenir con efficacia la malattia della Nebbia, ed è quell'unico di procurar con ogni arte possibile di rendere vigorosa, e robusta la pianta. La diligenza, la sollecitudine, l'attenzione, ch'è quella maniera di operare atta a togliere ogni pretesto a' dubbj, e di cui qui più che altrove me ne sono fatto un dovere impuntabile, fecemi ad evidenza conoscere, che quanto più vegete e rigogliose si fanno crescere le piante, attraendo con più di forza il loro nutrimento, e con egual vigore disperdendone il superfluo per la insensibile traspirazione, tanto più si costituiscono esse in grado di vincere gl'impedimenti di questa lor necessaria evacuazione, e di mettersi quindi sempre più al sicuro dai perniciosi effetti della Nebbia.

            In conseguenza dunque di questo fondamentale principio stabilito con la serie di ben lunghe e continuate osservazioni, che tutto ciò che contribuisce a render vivace e robusta la pianta, egli è un ottimo preservativo contro la Nebbia; dee l'industrioso e indefesso Agricoltore, pria di gittare il seme, lavorar profondamente[2] il terreno, triturandolo, e smuovendolo ben bene con ogni cura, e sollecitudine. Un sì fatto apparecchio servirà a far che la pianticella nascente gitti più sode, e più profonde radici, onde assorbire in maggior copia succo alimentoso, ch'è acconcio a vie più rassodarne le fibre. Premesso questo lavoro, il quale non può essere mai abbastanza raccomandato, è necessario in oltre per assecondar più d'appresso i disegni della Natura fortificare il grano stesso, pria di seminarlo, con l'infusione[3], che venghiamo ora ad annunziare, e che si prepara nella seguente maniera. Per ogni venti libbre di acqua si prendano cinque libbre di cenere, la quale infusa nell'acqua stessa formerà un ranno assai forte[4], cui dovranno aggiungersi nove in dieci once di salnistro polverizzato, mescolando il tutto di tratto in tratto. Dopo due, o tre giorni si coli il ranno, indi si faccia bollire per alquanti minuti, e tosto ritirandolo dal fuoco, vi s'infondano dieci once di calce viva[5], la quale dee più volte agitarsi con una mestola. Raffreddato il tutto, s'immergano in questa lisciva i semi di quelle piante, che voglionsi preservar dalla Nebbia, lasciandoveli per lo spazio d'un giorno, o più; avvertendo di accrescere, o diminuire la dose in proporzione della quantità dei medesimi semi; i quali rasciugati dappoi, si spargono nel preparato terreno.

            Non entro a ricercar la fisica ragione, per cui una tale infusione efficacemente concorra a preservar le future piante dalla Nebbia, ciò sarebbe un avventurar dei raziocinj senza il dovuto fondamento. Pure, se mi è lecito di esporre un semplice mio sospetto, direi, che l'olio, principio naturale di tutte le terre, alle quali vi discende con le piogge, vi s'insinua con le nevi, vi si comunica cogl'ingrassamenti tratti dal regno animale, e vegetabile; egli è altresì uno de' principali ingredienti, che costituiscono i principj della vegetazione. Ora quest'olio, principio, non potrebbe mai essere assorbito dalle radici delle piante, se prima non venisse convenientemente attenuato, ed assottigliato; ed eccovi pronti all'uopo i sali alcalini della cenere, e della calce, di cui nell'infusione se ne imbevano i semi. Questi sali trattengono non solo l'acido del Nitro, ch'entra nella composizione, ma attraggono altresì con molta forza i sali nitrosi dispersi per la terra, e per l'aria; dalla qual mescolanza de' sali ne risulta un sal neutro, che ha tutta la proprietà di attenuare gli olj, di renderli solubili cogli altri principj, e di formare un succo saponaceo, che, prestando alla pianta fin dal suo primo sbucciare dal seme un alimento squisito, le fa acquistare una costituzione gagliarda, di cui ne risente i vantaggi per tutto il corso di sua vita: a guisa di quel fanciullo, che succiando dalle poppe della sua genitrice un latte pien di nutrimento, contrae un carattere di robustezza, che lo accompagna fino all'età più decrepita. Che che ne sia però di questo mio pensamento, egli è sempre certo, che una tale infusione, penetrando, insensibilmente, dà vigore al seme[6], porge un'esca nutritiva alle radici, eccita il corso alla vegetazione, rinforza, e fa crescere con tutta speditezza la pianta; nel che consiste il più valido preservativo contro la Nebbia: quindi noi non ricerchiamo del modo, quando abbiam sicuri gli effetti.

            Se alle già indicate avvertenze aggiungerà il provido Colono eziandio quella di gittare il grano della preparata semenza in una discreta, e conveniente distanza, che non sia troppo folto; sterpando in seguito di mezzo a' seminati, o d'attorno alle piante l'erbe eterogenee, che van continuamente pullulando, ei giugnerà sicuramente al compimento dell'opera. Imperciocché, quand'anche ciascuna di queste particolari cautele non fosse da se sola bastevole ad ottenere il sospirato effetto; pure l'unione di tutte insieme verrà a corroborare in tal guisa i prodotti della vegetazione, che li metterà sicuramente al grado di resistere contro l'irruzion della Nebbia. E fin da quando mi posi all'impegno di tener dietro co' miei sguardi agli andamenti della Natura, giammai non mi fu fatto di scoprire alcuna pianta assalita da questo malore, la quale secondo il metodo, che vengo ora dal descrivere, fosse stata coltivata. Ma posciaché un punto sembravami questo di tutta importanza, e che esigeva una prova più circostanziata, e più certa, mi presi la cura di coltivar venti piante di spezie diversa, praticando con esse tutte le suaccennate cautele. Nel colmo della maggior loro floridezza venni a riporle in un luogo molto esposto all'infezion della Nebbia; ma senza il minimo detrimento. Le abbeverai in appresso tra i cocenti raggi del Sole con dell'acqua, ch'era il freddo di 3 gradi sopra il gelo; al che similmente ebbero tutto il vigor di resistere. Le esposi in fine a un azzardo molto più periglioso, dirigendo attorno ad esse per mezzo del doppio imbuto una corrente di esalazioni miste con dei vapori, secondo il metodo indicato nel precedente Articolo; ed il risultato di quest'ultima prova fu, che sei delle medesime piante non diedero verun segno, benché minimo, d'annebbiamento, e le altre quattordici mostrarono da principio di risentirne alcun poco, mentre per qualche ora appresso impallidirono; ma non indugiarono poi guari ad essere rigogliose, e verdeggianti come prima.

            Un altro preservativo, ma particolare, e proprio soltanto pe' terreni d'un fondo paludoso, sarà quello di scavare in vicinanza a' detti luoghi delle fosse, o forse meglio de' canali per dar scolo alle acque putride e stagnanti, le quali somministrano ampia materia alle nocive esalazioni. Meglio ancora sarebbe far entrare, quando mai fosse possibile, entro alle dette fosse, o canali eziandio dell'acqua pura, che si mescolasse con la putrida. In questo modo si verrebbe ad impedire in gran parte[7] la fermentazione, corroborando le parti di quel liquido limaccioso contro l'irruzione de' corpuscoli volatizzati, che tendono ad innalzarsi dal fondo delle paludi.


            Tra i rimedj della seconda classe, che sono i curativi, deggiono annoverarsi tutti quelli, che sono atti a togliere la causa della Nebbia, cioè a rimuovere quella materia viscida e tenace, che di recente siesi conglutinata sopra le piante. Dico di recente, merceché se questa materia ha avuto un tempo bastevole per impedire notabilmente la traspirazione, se il ristagno degli umori si è di molto innoltrato, se la pianta in somma ha sofferto uno sconcerto universale in tutta la sua vegetabile economia, ogni rimedio riesce inutile, ed il male può a tutta ragione giudicarsi incurabile.

            Lascio da parte le rancide opinioni degli Antichi, d'un Plinio, d'un Columella, d'un Palladio Rutilio, invalse anche in oggi presso la gente rozza del Contado circa alcuni rimedj della Nebbia. Quell'aspergere i vegetabili col fummigio de' sarmenti, e delle paglie abbruciate; quel sospendere de' rami di Lauro vicino alle piantagioni, col supposto, che la Nebbia abbia ad attaccarsi a' detti rami, e lasciare frattanto illesi i prodotti più vantaggiosi; quello spruzzare del tabacco, o del pepe polverizzato sopra gli erbaggi: cose tutte poco degne dello spirito d'un Filosofo; le quali non essendo atte a levar dalle piante la causa delle ostruzioni, di niun giovamento elleno riescono contro una tal malattia. In simil maniera quantunque a prima vista serbi qualche aria di verisimiglianza, pure dee riporsi fra gl'inutili rimedj anche quello, che venne suggerito da Teofrasto[8], ed è quello di coprire in maniera la pianta, che non vi cada sopra la rugiada. Il secolo d'oscurità, in cui nacque, non gli permise il sapere ciò, che in appresso fu ad evidenza dimostrato dal rinomatissimo Huet, cioè, che la rugiada non cade dall'alto[9], ma s'innalza dal basso, e che quindi la pianta può esserene attaccata, tuttoché ricoperta ella si fosse al di sopra. Il qual sentimento fu poscia egregiamente illustrato in una dotta sua Dissertazione dall'erudito Gersten.

            Tra i rimedj utili curativi pertanto dobbiamo in primo luogo annoverare il vento gagliardo[10], che spira dopo di essersi rappigliata alle piante la materia nociva. Questo è uno de rimedj provenienti dalla Natura senza l'ajuto dell'arte. Con la lunga sperienza di molti anni mi sono appieno certificato, che quando spirano venti impetuosi, per quanto sieno abbondanti le esalazioni, le piante vanno sempre esenti dalla Nebbia. Il vento purga l'aria, e scopa dal di sopra le piante quel notevole composto di esalazioni, prima che si condensi a danno della vegetazione. In moltissimi casi particolari questo rimedio naturale può essere assecondato dall'arte. Quando si avesse premura di custodir qualche pianticella, basterà collocarla in un luogo esposto ad una corrente di aria, o ad un vento un po' vigoroso, e la pianta si conserverà senza dubbio verdeggiante, e sanissima. Così pure ottimo consiglio sarà il trascegliere per le seminagioni i luoghi più alti, aperti e spaziosi a preferenza de' luoghi umidi, bassi e chiusi per ogn'intorno da' monti; mentre in questi frequentissima comparir si vede ad ogni tratto la Nebbia; doveché in quelli, perché dominati amplamente da' venti, non ne appare vestigio. Lo spargere infine il grano, che si semina, ad un proporzionato intervallo, di maniera che non sia troppo folto, e lo svegliere in appresso d'attorno alle piante l'erbe inutili, come abbiam suggerito più sopra: siccome egli è questo un rimedio preservativo, in quanto che contribuisce di molto a render vigorosa la pianta; egli appartiene altresì a questa classe per un altro rapporto: mentre in questa guisa il vento acquista un maggior predominio sopra le piante stesse, egli s'insinua con più libertà per entro ad esse, le agita, e le scuote con miglior presa, e le costituisce in grado di andarsene esenti dai funestissimi attacchi della Nebbia.

            Un altro rimedio curativo proveniente dall'arte si è quello di scuotere ben bene i vegetabili, subito che si accorge dell'umore malefico raccoltovi sopra, prima che sopravvenga il sole a condensarlo. Questo rimedio è universale, di ottima riuscita, e di gran giovamento per ogni sorta di vegetabili; ma conviene modificarlo e variarlo secondo i casi diversi, e secondo le piante di differente specie, perché non tutte sono atte ad essere scosse ed agitate alla stessa foggia. Gli arbori, come il Pero, il Gelso, il Persico, il Fico, ed altrettali, basta prenderli pel tronco, ed agitarli ben bene con replicate scosse, finché dai ramicelli, dalle foglie, dai frutti ne cadano tutte le gocciole dell'umor pregiudiziale. Per iscuotere un tale umore dai seminati, come dal Formento, dalla Vena, dal Riso, dall'Orzo, e da altri simili prodotti, prendono due persone i capi d'una corda, lunga almeno quanto è la larghezza d'un Campo, e camminando le due persone con pari passo per la lunghezza del Campo, fanno passare successivamente la corda sopra tutte le spighe del medesimo seminato. Gli erbaggi come i Cavoli, le Fragole, i Finocchi, l'Invidia, ec. si scuotono, col passarvi sopra una scopa di sottilissimi vimini, o di altra cosa molto arrendevole. Con questo scotimento diversamente variato secondo le varie circostanze, e secondo le varie specie delle piante, mi è riuscito di salvar dalla Nebbia qualunque sorta di vegetabile: e questo solo rimedio opportunamente adoperato, sarebbe bastevole a metterci al coperto da una malattia cotanto infesta e dannosa.

            Contuttociò il rimedio curativo universale , il più valido, il più sicuro, il più certo ed efficace fra tutti gli altri si è l'innaffiamento delle piante stesse fatto a tempo, e modo opportuno. Per eseguirlo utilmente bisogna avere uno di quegl'innaffiatoj, che sogliono adoperare i Giardinieri, da cui l'acqua si versa fuori, per tanti forellini a guisa d'una minuta pioggia. L'acqua, che deesi spandere in abbondante modo giù per le frondi, pe' rami, pegli steli, pel tronco, porta via da tutta la pianta la viscosa materia delle esalazioni, e purgandola da ogni rea immondizia la toglie da quell'imminente pericolo, a cui fra poche ore immancabilmente dovea soggiacere. Non saprei indicare il gran numero delle piante, che in questa guisa ho io rapite dal furor di questa malattia. Bello era il vedere nel tempo delle georgiche mie perquisizioni togliere moltissimi frutici, arboscelli, e virgulti con un solo innaffiatojo di acqua, quasi per divertimento e per giuoco, dallo stato di una morte inevitabile, per cui vani forse sarebbero stati gli altri tentativi e rimedj, e ridurli in un momento a quella fresca e ridente vivacità, ch'eglino godeansi da prima. La difficoltà maggiore, che qui per avventura potrebbe insorgere sarà quella, che un tale innaffiamento si rende malagevole, e costoso a praticarsi ne' seminati d'una vasta estensione. Egli è malagevole, e di qualche costo, il concedo; ma le malattie sempre costano. Una pioggia dirotta, che cadesse sulle campagne poc'anzi annebbiate, supplirebbe a meraviglia le veci dell'innaffiamento, e risparmierebbe ogni spesa; ma in ogni caso sarà sempre minor costo il prezzolare alquanti lavoratori, che si esercitino nell'innaffiare un tratto di terreno, di quello che sia soffrire il danno gravissimo, che verrebbe a cagionare la Nebbia.

            Il tempo più opportuno per tali innaffiamenti si è, o al mattino quando dopo un giorno assai caldo è succeduta una notte molto fredda con abbondante rugiada, o dopo una caligine molto densa, o dopo una fredda, e scarsa pioggia improvvisamente caduta tra i bollori d'un giorno estivo. E tali innaffiamenti saranno sempre giovevoli anche quando la materia delle esalazioni siesi condensata sopra le piante, purché la traspirazione non ne sia rimasta lungamente soppressa. L'acqua mollifica prima, indi porta seco, e precipita quel glutinoso impasto; al che non servirebbe il rimedio sopraccennato dello scotimento, il quale perciò dee esser praticato prima che la materia si condensi. Una cosa in fine di somma importanza, e che merita tutta la nostra attenzione si è, che innaffiando le piante si adoperi sempre dell'acqua, il cui calore sia uguale un di presso al calore, che regna attualmente attorno alle stesse piante. Il versarvi l'acqua al di sopra a guisa di pioggia, ossia per fine di purgarle dalla Nebbia, ossia a solo oggetto di alimentarle, è cosa sempre più utile e vantaggiosa di quello che sia spanderla sulle sole radici; a motivo dell'inzuppamento delle foglie, dalle quali non meno che dalle radici attraggono i vegetabili il loro nutrimento. Pure quando l'aria, la pianta, il terreno sono tutti fortemente riscaldati dall'ardor del sole, se per innaffiar le dette piante noi ci servissimo d'un'acqua troppo rigida, nell'atto stesso di procurare il rimedio, noi verremmo ad aumentar le stragi di quella crudel malattia, che fu il soggetto delle molteplici nostre ricerche esposte nella presente Memoria.

            Ed eccovi compiute, vorrei credere, le viste luminose, ed appagati gl'interessanti oggetti di questo rilevantissimo, e tanto vantaggioso Programma sopra la malattia de' vegetabili, che propriamente merita il nome di Nebbia. Abbiamo scoperto il vero carattere sì primario, che secondario di questa malattia. Abbiamo fin dalla sua prima origine rintracciata la causa, da cui essa deriva, coll'avere esaminate tutte quelle circostanze, onde viene essa determinata ad esser di nocumento a' vegetabili. Abbiam per fine annunziati gli utili, e salutevoli rimedj sì preservativi, che curativi, universali, e particolari: ove possiam rendere questa fedel testimonianza di noi stessi, di avere esposti que' soli rimedj, che le molte e replicate nostre sperienza ci han fatti conoscere i più giovevoli, ed efficaci per difendere, e liberare cadaun erbaggio, grano, frutto da questa dannosissima malattia.

            Resta ora soltanto, che si scuota a seguir le tracce da noi indicate la natural pigrizia de' Lavoratori bifolchi. Le idee de' Filosofi, intesi assiduamente a promovere i vantaggi della Società, e del pubblico bene, da se sole non bastano; è necessario che sieno assecondate, e che vengano eseguite da quelle persone, che sono addette ai rispettivi ministeri delle Arti. Sia dunque punto d'impegno il più decoroso tra gl'Illustri Personaggi componenti la Georgica Società di Vicenza il far sì, che se come sapientissimi Accademici hanno proposto il tanto utile e vantaggioso Problema sopra la malattia della Nebbia; come benefici Cittadini facciano altresì eseguire da' Villici lor dipendenti le pratiche Istruzioni, che a comune vantaggio abbiamo avuta la dolce compiacenza di esporre; il che tutto ridonderà e a gloria sempre maggiore della fioritissima loro Accademia, e a risorgimento della pur troppo a' giorni nostri negletta e trascurata Agricoltura.


[1]    Medici, causa inventa, curationem inventam esse putant. Cic. Tusc. Lib. III. [Cicerone, Tusculanae Disputationes, Lib. III, 10. “I medici, una volta trovata la causa, ritengono d'aver trovato anche la cura”.]
[2]    Il lavorar profondamente il terreno non dee confondersi col gittar troppo a fondo la semenza; quello è sempre buono e giovevole, specialmente nelle terre forti; questo dee praticarsi con discernimento, e cautela, poiché ogni specie di seme ricerca una profondità, che gli sia proporzionata. Per le biade il sig. Tillet crede acconcia la profondità di 6 pollici.
[3]    Il disporre preventivamente il grano, che dee seminarsi, con delle opportune infusioni non è da riputarsi una cosa né inusitata, né nuova. Virgilio afferma d'averla veduta praticare fin da' suoi tempi: Semina vidi equidem multos medicare serentes. Georg. Lib. I. [Virgilio, Georgiche, Lib. I, 193. “Molti già vidi medicare i semi” trad. Bernardo Trento.]
[4]    Ne' primi esperimenti, che feci per compor questo ranno, in luogo della cenere, avea fatto uso del grano Carbone calcinato, pel solo oggetto che da questo grano Carbone si ottiene una quantità assai maggiore di sale liscivioso, di quel che si ottenga dalla cenere delle altre piante combuste. Ma riflettendo per una parte, che un tal grano non potea così facilmente aversi sempre pronto al bisogno; e per l'altra avendo sperimentato, che con la cenere, accrescendone la dose, si viene a conseguire il medesimo effetto, mi sono determinato per questa.
[5]    L'efficacia della Calce viva in questa infusione fu chiaramente indicata dall'incomparabile Malpighi, avendo ben osservato, che Calcis vivae usu prae ceteris excrescebant plantae. De sem. veget. [Malpighi Marcello, Anatomiae plantarum, Parte seconda De seminum vegetatione] Basta avere attenzione alla dose qui indicata, perché se questa fosse troppo eccedente, in luogo di fortificare, si verrebbe ad abbrustolire il seme della pianta. In mancanza di Calce viva potrà servire anche la Calce estinta, raddoppiandone la dose; ma la Calce viva merita tutta la preferenza.
[6]    Quanto è certo il vigore, che acquistano i semi dalle infusioni alcaline, altrettanto è indubitabile il detrimento, ch'essi ricevono nell'infusione dell'acqua pura, la quale snerva la robustezza del grano, ne logora le fibre, e ne minora la virtù germinativa. Dalle varie prove, che ne feci, ho rimarcato, che il grado di languore, a cui si riducono i vegetabili coll'immergerne i semi nell'acqua, è in ragione diretta del tempo più, o meno lungo, che durò la loro immersione.
[7]    Parlando della fermentazione dice il Newton, che “les particules, qui sont forcées de sortir des corps par la chaleur, se trouvant hors de la sphere de l'attraction du corps, dont elles s'eloignent, en s'eloignant aussi les unes des autres avec grande force occupent quelque fois un espace un milion de fois plus grand, que celui, qu'elles occupoient auparavant dans le tems, qu'elles étoient sous la forme d'un corps dense”, Optic, quest. 31 [Isaac Newton, Opticks or, a treatise of the Reflections, Refractions, Inflections and Colours of Light, The second edition, with additions, London 1718. Lib. III, Question 31 pag. 371 “The Particles when are shaken off from Bodies by Heat or Fermentation, so soon as they are beyond the reach of the Attraction of the Body, receding from it, and also from one another with great Strength, and keeping at a distance, so as sometimes to take up above a million of times more space than they did before in the form of a dense Body.”]. Quindi l'efficacia del mescolamento dell'acqua pura con la putrida delle paludi: tempera essa il calore intestino, arresta il corso ai progressi della incominciata fermentazione, e frappone un ostacolo abbastanza forte, e poderoso contro l'enorme espansione delle particelle esalanti.
[8]    De Cons. Plant, Lib. IV, cap. 17. [Toefrasto, De causis plantarum, Liber VI].
[9]    Ebbi il piacere di confermar questo fatto con una prova diretta, esponendo più volte nelle notti molto serene e tranquille una lastra di vetro in una posizione orizontale, e che fosse alquanto sollevata da terra: allo indomani in sul far del giorno ho sempre veduto, che la rugiada erasi in assai maggior quantità ragunata nella superficie inferiore, che guardava verso il terreno.
[10]  Il celebre Leeuwenoecchio [Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723) ottico e naturalista olandese] ebbe ad affermare, che il vento, lungi dall'essere un rimedio contro la Nebbia, n'è anzi molte volte la causa; per la ragione, che rompendo il vento le fibre delle piante, ne sgorga quindi per le fenditure il sugo, che dovea nodrirle: ma non è questa la sola fanfaluca, che spacciò quell'uomo grande. In fatti converrebbe dire, che il vento avesse una proprietà ben singolare, non mai da verun altro de' Fisici finora avvertita, quella, cioè, di rompere le fibre dei vegetabili, e non piuttosto di troncarli affatto, o di gittarne per terra i frutti, come talvolta in realtà succede. In fatti dice il celebre Hartsoeker, “Le vent devroit être bien fort pour casser ainsi la paille, et qui plus est, le froment même”. Extrait critiq. des lettres, et c. [Nicolaas Hartsoeker (1656-17259 scienziato olandese, Cours de Physique et Extrait critique des Lettres de Leeuwenhoek, Alahaye, 1730].

Nessun commento:

Lettori fissi