sabato 9 giugno 2012

ARTICOLO VI.
Del calore, che si sviluppa nell'atto della fermentazione vinosa.

            Poste frattanto le condizioni, che ora venghiamo di esporre, cioè, che la parte zuccherosa del mosto si trovi diluita in una sufficiente quantità di acqua, che sia essa mescolata coi principj del tartaro colla resina, e colla fecula, che il liquore dimori in contatto dell'aria comune, e quest'aria sia rinvigorita da un moderato grado di calore; allora l'acido libero, e l'acido tartaroso separa una porzione di flogisto dalla materia zuccherosa, la quale si scarica in seno alla medesima, di cui ella avidamente s'imbeve, si flogistica, si converte in aria fissa, e nel medesimo istante per entro alla massa, che fermenta, viene a suscitarsi un calore di 8, o 10 gradi sopra quello dell'atmosfera[1].

            Per render ragione di un fenomeno, che solo, perché comune, non riesce sorprendente, molti fanno ricorso al moto intestino, vibratorio, e perturbato delle molecule del mosto: alla stessa maniera che soffregandosi scambievolmente due metalli, o simili altri corpi duri l'uno contra l'altro, vengono a riscaldarsi. Ma egli è pienamente dimostrato, e l'esperienza stessa tutto giorno cel comprova, che il riscaldamento, di cui si tratta, viene solo ad eccitarsi per l'attrito de' corpi solidi tra loro, e che le parti di un fluido per quanto si urtino, si premano, si dibattano o fra se stesse, oppure anche contro un corpo duro[2], non giungono mai ad aumentare il loro calore. Per ispiegare adunque in una maniera affatto degna dello spirito di un filosofo il calore, che vien prodotto dalla fermentazione vinosa, noi non ci dipartiremo dai principj stabiliti nella sua celebre teoria sul calore dal Signor Dottor Crawford, le cui conseguenze sono altrettante verità dal fatto stesso invariabilmente confermate. Il calore adunque non è, secondo lui, una mera qualità, non una semplice modificazione comune a tutte le sostanze, nata casualmente dall'agitazione delle parti in tumulto; egli è l'effetto d'una materia propria, e particolare, di una sostanza del suo proprio genere, che noi chiamiamo l'elemento del fuoco, il quale entra in tutti i corpi, si spande fra tutte le sostanze, tende continuamente a diffondersi, passa dai corpi più caldi a quelli, che lo son meno, finché giunga all'equilibrio: proprietà ch'è comune a tutti gli altri fluidi, come da alcune mani maestre fu già dimostrato fino all'evidenza.

Bacco
            Partendo da questo principio, il Signor Crawford ed altri valenti Fisici istituirono una serie di numerosissime sperienze, una gran parte delle quali ebbi io stesso la compiacenza di verificare, dalle quali si ricavano i seguenti luminosissimi risultati[3], necessarj al rischiaramento del punto, che ora trattiamo. Primo, che i varj corpi, e le differenti sostanze, secondo l'indole loro, e qualità diversa, contengono, a temperature eguali, una varia e diversa quantità di fuoco elementare. Di maniera che quantunque i differenti corpi che si trovano per esempio entro all'ambiente di una stanza, come l'aria, l'acqua, l'olio comune, il ferro, indichino tutti il medesimo grado di calore sensibile; pure l'acqua contiene in se una quantità di fuoco molto maggiore, di quel che contenga il ferro; e l'olio non ne racchiude, che una minimissima porzione in confronto dell'aria[4]. Secondo, che questa diversa quantità di materia ignea contenuta dai corpi non è né in ragione delle loro masse, né in ragione de' loro volumi, né in ragione composta delle masse, e dei volumi; ma in una ragione non ancora abbastanza nota, da doversi ricercare con esperienze particolari sopra ciascun corpo[5]. Terzo, che poste l'altre cose uguali, i corpi tanto meno fuoco contengono, quanto più abbondano di flogisto. Quarto, che non solo i corpi di diversa natura contengono più o meno fuoco in ragione inversa alla quantità del loro flogisto; ma eziandio un solo, e medesimo corpo, cambiando stato, e venendo a perdere, o ad acquistare flogisto, accresce altresì, e diminuisce a proporzione la sua capacità rapporto al fuoco elementare. Quindi il piombo, che passa dallo stato di metallo a quello di calce, perde una gran quantità del suo flogisto, ed assorbe a proporzione una maggior dose di fluido igneo, indi ritornandosene colla revivificazione della calce allo stato di metallo, perde la porzione di fuoco, che avea acquistata, e riassume tutto il suo primiero flogisto. Quinto finalmente, che quella quantità di fuoco, che esce dal corpo nell'atto di flogisticarsi, di fuoco insensibile, che era prima, si rende sensibile con la produzione d'un calore più intenso, che acquistano i corpi contigui, attorno a' quali si scarica[6]: e così per l'opposto quella copia di fuoco, che entra nel corpo, che attualmente si deflogistica, di palese, che era prima, si nasconde, e comincia a serbare il più stretto incognito, il che si deduce dal decremento del calore, che soffrono le sostanze contigue.

Boccale medioevale
            Ora per poco, che si conosca la materia qui ventilata, si converrà dell'importanza di queste premesse; ed i risultati or ora esposti, per mezzo de' quali si rende appieno ragione dell'accensione delle materie combustibili, della liquefazione de' metalli, della effervescenza delle misture, del calor degli animali[7], del freddo prodotto dalla evaporazione, e di una infinità di simili altri fenomeni, che si compiono tutto giorno sotto a' nostri sguardi, spiegano altresì in una maniera del tutto appagante il calore prodotto dalla fermentazione vinosa. Infatti nell'atto stesso, che l'aria atmosferica assorbe dal liquor fermentante la porzione più libera del suo flogisto, verso cui ha una somma affinità, si cambia ella tosto in aria fissa. In questo stato novello, a cui si riduce, in questa piena abbondanza di flogisto, non potendo più contenere tutta quella copia di fuoco elementare, che contenea per avanti, è costretta a lasciare in abbandono una porzione, la quale si spande, e si diffonde tosto per entro al mosto, e di fuoco nascosto, che era prima, si rende sensibile, e palese con l'aumento di varj gradi di calore. Quindi l'artificio non può essere più semplice, e più naturale: l'aria riceve dal mosto il flogisto, e gli dona in vece il calore; ed il mosto riceve dall'aria il calore, e le offre in contraccambio il flogisto; dacché il fuoco, ed il flogisto sono due enti, che si repellono a vicenda, ed in vano noi cercheremmo di stabilire un trattato di pace; e di concordia fra queste due sostanze.

            Che se a taluno sembrasse difficile il concepire, come nell'atto della fermentazione vinosa possa svolgersi dall'aria tanto fuoco elementare, che spinga il Termometro cotanto al di sopra della temperatura comune; direi, che questa anzi non è, che una minima parte di quell'ardore più inteso, che nel processo della fermentazione realmente si sviluppa dall'aria, e che dovrebbe rendersi palese in tutta la sua terribile accensione, se molte cause non si unissero insieme, e non concorressero a disperderne la massima parte. Da varie sperienze, che dietro la scorta del sig. Kirvvan [Richard Kirwan, 1733-1812, scienziato irlandese] ho istituite, mi risulta, che l'aria comune contiene in se stessa una quantità di fuoco elementare sessanta volte maggiore di quel che contenga l'aria fissa[8]; e per conseguenza quando l'aria atmosferica pel processo flogistico della fermentazione vinosa viene a tramutarsi in questo gaz, è costretta a vomitar dal suo seno un torrente sì impetuoso di calore e d'incendio, che se l'operazione si compisse in un solo istante, se a misura, che si svolge il calore dall'aria, non si disperdesse egualmente fra gli altri corpi contigui, tutta questa orrenda massa di fuoco, scoppiando ad un tratto, si renderebbe atta a scomporre qualunque più refrattaria sostanza,. Diamo un nuovo passo verso l'evidenza, e somministriamo a questo punto tutto quel lume, di cui è suscettibile, con una prova di fatto. Io sapeva dalle esatte osservazioni de' Fisici moderni, che l'aria deflogisticata, ossia l'aria spogliata d'ogni flogisto è atta a contenere una quantità di fuoco elementare quattro volte maggiore dell'aria comune. Sembravami quindi assai ragionevole, che qualor mi riuscisse di far fermentare del mosto in contatto a quest'aria pura, nell'atto di cambiarsi questa in aria fissa, dovendo scaricare una dose di fuoco quattro volte maggiore dell'aria comune, per quanto ampia ne fosse stata la dispersione: ne sarebbe sempre rimasta una quantità da rendersi distinta col mezzo del Termometro. Cominciai dunque dal procacciarmi varie vesciche di aria deflogisticata[9]; indi collocando un recipiente pieno sol per metà di un mosto assai zuccheroso sotto alla macchina pneumatica, ne estrassi prima l'aria comune, indi v'introdussi l'aria deflogisticata; che tenea raccolta nelle vesciche. Nel coperchio, che chiudea perfettamente il vaso, vi avea praticato un foro con un animella di cuojo dalla parte esteriore, affinché l'aria esterna non potesse entrare, e l'aria interna, dilatandosi pel calore, avesse campo di uscire, qualor fosse duopo, senza frangere il vaso. Il giorno appresso visitando il mio recipiente, trovai, che il mosto bolliva con tutta forza; ed il termometro, che fin da principio era immerso entro il mosto, ascendeva a vista d'occhio. Dopo tre giorni, essendo la temperatura della stanza a' gradi 13, il Termometro entro al mosto era salito a gradi 32; mentre un altro, ch'era immerso entro una egual massa del medesimo mosto, che contemporaneamente fermentava all'aria comune, non marcava, che 18 gradi.


Bacco con coppa
            Finché con l'apparato di questi grandiosi fenomeni la natura tiene a bada l'occhio del fisico indagatore, ella opera in secreto le sue meraviglie. Imperciocché nell'atto, che la porzione più rozza, e più sciolta del flogisto viene sbarazzata, mediante l'azione dell'acido, dal mescuglio della parte zuccherosa, l'altra più deseccata, e più pura si stringe all'acido dello zucchero: le parti terrose, la mucillagine, la materia colorante, e tutti gli altri elementi agitati incessantemente, e ravvolti; si sbrigano dall'interposizione delle parti più immonde; ed in seguito alla loro dissoluzione si uniscono in una maniera atta a costituir quell'ente novello, i cui caratteri sono affatto diversi da quelli del fluido primiero.

ARTICOLO VII.
Della fermentazione placida.

            Quello, che in un siffatto lavoro v'ha di rimarcabile, si è che di quel passo, onde la parte zuccherosa va gradatamente cambiandosi in spirito ardente, diminuiscono poco a poco gli effetti della fermentazione tumultuosa. L'effusione flogistica si rallenta, il calore si mitiga, il gorgoglio si modera, l'intumescenza decresce: sembra, che la natura s'arresti a mezzo corso, e che inclini ad uno stato d'intorpidimento e di languore nell'atto stesso, che l'opera della fermentazione vinosa è tuttavia lontana dal suo compimento. Lo spirito ardente, ch'è il principal prodotto della medesima fermentazione, è altresì uno di que' principj che si oppongono con maggior forza al corso della stessa fermentazione. Un'esperienza quanto semplice altrettanto decisiva me lo ha dimostrato. Per entro a varie pinte d'un mosto il più zuccheroso, e dispostissimo alla fermentazione ho mescolata un'egual quantità di spirito di vino rettificatissimo: chiusi l'orificio del recipiente, il quale era pieno solo per metà, per impedire la dissipazione dello spirito; e dopo lo spazio di quattro mesi trovai il liquore esser tale, quale io ve l'avea posto da principio, senza che il mosto avesse sofferto il minimo impulso di fermentazione. E per vie meglio assicurarmene lo sottoposi ad una lenta distillazione, per mezzo della quale ottenni precisamente la stessa quantità di mosto, e di spirito senza veruna diminuzione, o cangiamento. In effetto per impedire i progressi della fermentazione basta mescolare coi liquori, che ne son suscettibili, qualche altra sostanza non fermentabile atta ad alterare la proporzione de' lor prossimi principj, quale è appunto lo spirito di vino[10].

Dionisio
            Quantunque però al diminuirsi degli effetti tumultuosi, e veementi sembri, che la natura assetti uno stato di riposo; pure per poco che si alzi il velo, ond'ella cuopre il mistero delle sue operazioni, sarà facile il ravvisare, ch'eziandio nel ritiro, e nel silenzio ella tende istancabilmente al perfezionamento de' suoi lavori. Qui un nuovo ordine di cose ci si rappresenta, ed ove cessa il rapido corso, di là comincia il periodo d'una fermentazione, che con vocabolo abbastanza inteso noi chiamiamo placida. Io non farò, che scorrer di volo sopra questo punto, che universalmente è noto, per non urtar nell'errore di quelli, che troppo a lungo s'aggirano attorno a certe verità, delle quali tutti convengono. Dopo il rallentamento degli effetti sensibili vi resta sempre per entro al liquore una qualche piccola porzione di materia zuccherosa, la quale per essere involta tra il mescuglio degli altri principj si sottrae alle perquisizioni del gusto forse più squisito. Nel tempo dunque della fermentazione placida questa porzione residua va di mano in mano cambiandosi in ispirito ardente, ed il vino acquista per cotal via sempre più forza, e vigore; il che non succede, che dentro uno spazio ordinariamente assai lungo, a motivo della presenza dello spirito ardente e del tartaro, che si va cristallizzando. In questo intervallo si separa dunque, e si depone il tartaro, ch'è il sale essenziale del vino, la cui base è un alcali fisso soprassaturato di acido vegetale. Questo sale sembra che tragga l'origine da una porzione di terra, e di acido rude, di alcali, e di flogisto, il quale non giunse a cambiarsi in acido zuccheroso per mezzo della compiuta, e totale maturazione dell'uva; il che si conferma dall'avere costantemente osservato, che questo mosto, il quale meno abbonda di materia zuccherosa, poste tutte l'altre cose uguali, somministra una dose più abbondante di tartaro. Rapporto alla formazione di questo sale, non entrerò nella quistione, se egli sia un prodotto, oppure un semplice edotto della fermentazione vinosa. Egli è certo che anche dal mosto se ne ricava una piccola quantità prima ch'egli abbia subita la fermentazione: ma dall'altra parte egli è certo altresì, che mediante la fermentazione vinosa se ne forma una dose assai più abbondante. L'acqua da per se è poco atta a far sciogliere il tartaro; se all'acqua vi si aggiunge zucchero, ella ne discioglie in maggior quantità. Ora mediante la fermentazione, la parte zuccherosa diminuisce, col cambiarsi in ispirito ardente e per conseguenza la parte acquidosa rendendosi sempre meno idonea, a tenere il tartaro in istato di dissoluzione, questo sale acquista una forma concreta, separandosi lentamente dagli altri principj, e si attacca alle pareti de' vasi, o si deposita al fondo insieme colle altre parti più grossolane del vino. In questo senso può chiamarsi il tartaro con tutta ragione un prodotto della fermentazione. La deposizion delle fecce è altresì uno degli effetti di questa placida fermentazione. Sono esse un mescuglio di parti grossolane, che si van separando dal liquore, e precipitano al fondo, a riserva d'una piccola porzione di materia colorante tenuta in dissoluzione dallo spirito ardente, e di un assai piccola quantità di mucillaggine, cui l'acqua serve di mestruo. Mercé la deposizione di tali materie, il vino si chiarifica, e diventa brillante, robusto, e perfetto. Ma siccome il grado di perfezione ond'è suscettibile il vino, varia infinitamente a misura delle varie qualità del mosto; così dopo di aver esposta la teoria, e messo in chiaro il lavoro della fermentazione vinosa, d'uopo sia esaminarne altresì il soggetto, insinuando un criterio facile, per cui giudicar delle varie qualità del liquor fermentabile.


[1]    Il dì 26 Ottobre 1785 quattr'ore appresso il mezzo giorno ho trovato essere l'accrescimento di questo calore di gradi 14 e mezzo: mentre il calore della cantina era di gradi 13, e quello del mosto già vicino al termine della fermentazione sensibile, di gradi 27 e mezzo.
[2]    Un esperimento affatto semplice mette fuor d'ogni contrasto la verità di questo fatto. S'infonda dell'acqua entro una caraffa fino alla metà; e conosciuto prima il calore dell'acqua con un esatto Termometro, si agiti in seguito con tutta la violenza, e per molto tempo. Se si avrà l'attenzione, di non riscaldar la caraffa con la mano, o di non trasferirla in un ambiente più caldo, si troverà avere l'acqua precisamente il medesimo grado di calore, che avea prima dello scuotimento.
[3]    Io non espongo che i soli risultati delle prove da me verificate; mentre troppo lunga cosa sarebbe il volere dare conto per minuto dell'esperienze stesse, e del modo, onde le ho eseguite.
[4]    Di questa diversa capacità, che hanno i corpi a contenere l'elemento del fuoco, ne abbiamo un esempio negli acquei vapori distribuiti tra le varie sostanze. Imperciocché noi veggiamo, che la calce, la cenere, il marmo, l'arena indicano un egual temperamento di umido, nell'atto steso che la calce, e la cenere contengono una dose di acqua, ch'eccede enormemente quella, che viene imbevuta dal marmo, e dall'arena.
[5]    Se mi fosse lecito di azzardare un mio sospetto, direi, che la quantità del fuoco elementare contenuto dai differenti corpi potrebbe forse essere in ragione composta della loro fluidità, e della dose del loro flogisto: cioè, in ragione diretta alla loro fluidità, ed in ragione inversa alla dose del loro flogisto. Chi possiede a fondo la teoria del Sig. Crawford sarà in grado di conoscere, quanto debba valutarsi questo mio sospetto.
[6]    Non è questo il solo caso, in cui un fluido nel separarsi dagli elementi di un altro, divenga sensibile, quando prima non lo era. Le esalazioni acquose fintantoché sono intimamente unite alle particelle dell'aria, che le tiene in dissoluzione, e si rubano a' nostri sguardi, non si distinguono punto dall'aria medesima, formano con essa un tutto omogeneo, elastico, trasparente, non alterano più gl'Igrometri, né hanno più la proprietà d'inumidire i corpi; ma tosto che vengono esse precipitate dall'aria, tornano al loro esser di prima; e ci si fanno palesi sotto l'aspetto di vapori vescicolari, o concreti; ed appariscono in forma di caligini, di nubi, di pioggia, di grandine, ec.
[7]    Per indicare la maniera facile, onde spiegare con questa novella teoria un numero assai grande di fenomeni, mi si permetta di accennar qui brevemente, e come di passaggio il modo, onde si produce il calor animale. L'aria ispirata dall'animale vivente, a sangue caldo, e ricevuta ne' polmoni, attrae avidamente il flogisto, di cui è pregno il sangue venoso, e si converte in aria fissa; nell'atto che sta caricandosi di flogisto ella è costretta a deporre contemporaneamente una parte del suo fuoco, il quale viene tosto assorbito dal sangue, di cui se n'è renduto vie più capace per la deposizione del flogisto. Il sangue così sbarazzato d'una porzione considerabile di flogisto, ed arricchito in vece della materia del fuoco, si porta novellamente in circolo pe' vasi arteriosi: spande qua, e là il calore, che avea ricevuto dall'aria, ed attrae ad un tempo nuovo flogisto da tutte le parti del sistema, per indi spogliarsene di nuovo; quando di nuovo sia giunto all'organo depuratorio de' polmoni.
[8]    L'esperienze, che mi diedero questo risultato, furono da me istituite nella seguente maniera. Mescolai 200 pollici cubici di aria comune alla temperatura di 4 gradi sopra il gelo con un egual volume di aria fissa, di cui avea spinto il calore fino ai gradi 65. Dopo la mescolanza di queste due arie, il calore si ridusse a soli gradi 5 sopra lo zero. Sicché dei gradi 61, onde il calor dell'aria fissa eccedea quello dell'aria comune, 60 ne passarono a riempire il vuoto dell'aria comune, ed un solo ne rimase per l'aria fissa, ch'è quanto dire, se per accrescere di un grado il calor dell'aria fissa bastò una sola parte di fuoco, per aumentare di tanto quello dell'aria comune si richiesero 60 parti di fuoco. Invertii l'esperienza. Presi 200 altri pollici di aria atmosferica riscaldata fino a gradi 65 e la mescolai con altrettanta aria fissa alla temperatura di gradi 4 sopra il ghiaccio, e dopo la mistione il calore si ridusse a gradi 64; sicché il decremento di un solo grado nell'aria comune bastò ad innalzare di 60 gradi di calor dell'aria fissa. Un'esperienza servì in tal guisa di rischiaramento, e di conferma all'altra, ed amendue comprovarono, che la capacità dell'aria comune è a quella dell'aria fissa come 60 ad 1.
[9]    Il metodo di cui mi sono servito, per procurarmi l'aria deflogisticata è de' più semplici, e sommamente economico. Questo consiste nel porre delle foglie di vegetabili entro una caraffa piena d'acqua, e rovesciata con la bocca all'ingiù entro una tinozza piena similmente di acqua, avvertendo, che le foglie, durante l'operazione, sieno ben percorse dai raggi del sole. Le foglie così immerse continuano per qualche tempo a tramandare aria pura, la quale comparisce alla superficie delle foglie in tante bollicelle, che sempre più crescendo di mole, s'innalzano al fondo della boccia rovesciata. Tutte le foglie de' vegetabili danno una quantità più o meno grande di quest'aria. Le foglie di vite sono ottime a questo uso, e di esse mi sono io servito. Quando la boccia è piena d'aria pura, vi s'introduce pel disotto un tubo recurvo, cui è attaccata una vescica vuota d'aria: si preme la caraffa in giù entro la tinozza, e l'aria uscendo pel tubo, entra nella vescica.
[10]  A questa classe appartengono altresì gli acidi, ed i sali neutri: quindi l'uso, che se ne fa, mescolandoli con quelle sostanze, che voglionsi preservare dalla corruzione. Pure i sali neutri in piccola dose, per osservazione del Sig. Pringle, lungi dall'impedire, accelerano anzi la putrefazione.

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