venerdì 8 giugno 2012

ARTICOLO II.
Mezzi di cui servesi la Natura pel lavoro della fermentazione vinosa.
L'acqua è il primo mezzo.

            Dietro la serie delle finora rimarcate verità, se noi verremo a collocare una sufficiente quantità di mosto entro ad un recipiente di vetro, esposto ad una temperatura idonea, dopo qualche intervallo vedremo per mezzo di una Lente di alcuni pollici di foco, eccitarsi da se un moto intestino in tutte le parti del liquor fermentante simile ad un vero, e reale bollimento. Le molecule girano tumultuariamente in tutti i sensi, si dividono in più parti, formano delle correnti, s'incrocicchiano, si affrontano, si urtano a vicenda, si separano le une dalle altre, per riunirsi dappoi. In questo ardente conflitto, che porge un oggetto di riflessione, e di compiacenza al Fisico osservatore, la trasparenza resta turbata, il volume di accresce, la mole si gonfia, serve il composto, le parti più grossolane agitate dal moto della ebullizione, e rese più leggiere dalle bollicine, che lor si attaccano attorno, s'innalzano al di sopra; un'atroce atmosfera si forma all'intorno, un micidiale torrente di vapori mefitici si sviluppa da tutta la massa, atto a spegner la fiamma, e ad uccidere sul momento gli animali. Tutto cessa in fine, e quel succo, ch'era prima livido, nauseante, feccioso, si trasforma in un balsamo di vita, da cui in gran parte dipende la riparazione, l'alleggiamento, il ristoro agli esseri della nostra specie.

            Ma quali, ripiglio io, son poi que' mezzi, di cui servesi la Natura per compiere una metamorfosi sì imponente? Per quali vie, e con la forza di quali agenti attenua essa, e raffina, separa, e divide, combina, ed unisce le minime particelle di questo fluido per convertirlo in un liquore di tutt'altra natura con un cangiamento sì strepitoso, e sì poco finora conosciuto? Ardua impresa, atta ad imbarazzare qual siesi esperto, ed esercitato Indagatore! Non per tanto, se con l'ajuto di una profonda Geometria giunse altri a conoscere la tendenza, la reazione, la forza delle grandi macchine dell'Universo, a calcolar l'intervallo immenso delle loro distanze, a stabilir le leggi de' loro movimenti con una teoria, che appaga allo stesso tempo, e sorprende; perché non potrem noi, seguendo con occhio instancabile i dettagli più minuti della Natura, arrivare a scuoprire un lavoro, che forse non diferisce da quello, che si scorge nelle masse più sterminate, se non in ragione delle distanze, e dei volumi? No, per entro ad una Fisica sì minuta, in mezzo ad una moltitudine infinita di atomi invisibili, i quali esercitano a vicenda la loro attività in distanze infinitamente piccole, non potremo, il confesso, avere un'idea chiara, e precisa della lor mole, celerità, e figura, non potremo dimostrare con calcoli abbastanza esatti la legge, e l'influenza, onde questi corpuscoli impercettibili agiscono gli uni sopra gli altri; contuttociò tra un cumulo di azioni minutissime, che tutte collimano allo stesso punto, non ci sarà, spero, del tutto impossibile l'indagar la forza, l'energia, e l'idrodinamica, che esercitano a vicenda le molecule di questo fluido, in una maniera almeno, che possa servire al regolamento, e alla pratica di quegli oggetti agronomici, che formano lo scopo delle fisiche nostre Ricerche.

            Un esame pertanto anche de' meno scrupolosi, ed esatti bastò ad assicurarci, che l'acqua è il primo mezzo, di cui servesi la Natura per compiere il gran travaglio della fermentazione vinosa. La fluidità è il primo mobile della disgiunzione, e del successivo accoppiamento: senza di essa niun corpo può unirsi, o separarsi dall'altro, secondo le leggi della particolare loro affinità. Il mosto consta di principj acidi, terrei muccosi, tartarosi, resinosi; salini, flogistici: è necessario, che questi corpi si disciolgano; è necessario, che si separi flogisto da flogisto, che la parte più libera, e più svolta di questa sostanza si tolga, e si divida dall'altra parte più fina, ch'è la più intimamente combinata con l'acido zuccheroso; ne vi è che l'acqua, la quale possa servire d'intermedio ad una tal separazione. Non già ch'io pensi, esser l'acqua uno degli ordinarj dissolventi del flogisto; crederò anzi di non andarmene lontano dal vero coll'asserire, ch'ella non ha con questo principio, che una legierissima affinità[1]. L'acqua segrega soltanto i principj solidi del mosto, ella snerva particolarmente la forte adesione dell'acido col flogisto; ella stende un piano di separazione, che verrà poscia eseguito dal potere, e dalla forza di altri agenti più efficaci.

Pigiatura medioevale
            Per conoscere vie meglio la necessità di questo fluido separatore, da varie pinte di mosto ho estratta con una lenta evaporazione tutta l'acqua sovrabbondante, onde il liquore si riducesse alla consistenza di unguento. Dopo sei mesi avendolo visitato, il trovai tal quale ve lo aveva riposto, senza aver fermentato, tuttoché la temperatura della stanza ne fosse favorevolissima. Divisi allora per metà questo mosto concreto; ne mescolai una porzione con una discreta dose di acqua; ed in capo a 30 giorni trovai il liquore cambiato in vino; mentre l'altra metà dopo due anni, onde tuttavia la conservo nello stato in cui si ridusse di disseccamento, non ha mai dato segno veruno di fermentazione[2]. Del resto la quantità dell'acqua richiesta a tal uopo non si restringe a una dose particolare, e determinata: ella può variare di molto senza verun sensibile pregiudizio. La dose, che la natura stessa vi mescola nella formazione del mosto, varia essa pure in una maniera la più incostante: per l'ordinario ella sta in proporzione degli altri principj uniti insieme, a un di presso come quattro ad uno. Questa può essere artificialmente scemata fino a volumi uguali, e può essere accresciuta ad una quantità 24 volte maggiore: come veggiamo praticarsi in alcuni Paesi, ove si costuma a far del vinetto con la mistione di quattro parti di acqua, ed una di mosto. Contuttociò accrescendo in tal guisa la dose dell'acqua, se non s'impedisce affatto, si viene però a render più languidi i progressi della fermentazione. Mercecché l'acido zuccheroso, rimanendo più del dovuto allungato, lascia scappare una porzione troppo copiosa di flogisto, a cui avrebbe dovuto essere unito; e quindi il vino, che ne risulta, è soggetto a inacetire.


ARTICOLO III.
Secondo mezzo, per cui si prepara la fermentazione vinosa:
cioè mediante l'aria atmosferica.

            Disposto nella maniera sopraccenata il liquor fermentabile per mezzo dell'acqua, ricercasi in appresso il contatto dell'aria atmosferica, ch'è il secondo mezzo, di cui servesi la natura in questo lavoro, e senza del quale non si dà fermentazione; dacché questo elemento è il conduttore, ed il veicolo di tutti gli altri. Qualunque materia infiammabile, i grassi, i legni, i metalli, gli zolfi, i carboni, gli olj contengono una maggiore o minore quantità di flogisto: la parte zuccherosa del mosto ne contiene essa pure una dose molto abbondante. Varie sostanze prive naturalmente di flogisto hanno la proprietà di assorbir quello, ch'è combinato con le materie infiammabili. Ora l'aria comune è una di queste sostanze, che godono[3] una somma affinità col flogisto, lo attrae avidamente dagli altri corpi, che ne son pregni: ed è per questo riguardo, che il contatto[4] dell'aria comune si rende necessario al lavoro della fermentazione. Mercecché l'adesione del flogisto nella parte zuccherosa essendo resa meno forte dall'azione dell'acido libero, e dell'acido tartaroso, l'aria in forza della sua affinità viene a strappare di mano in mano dal seno di questa materia zuccherina la porzione meno aderente del medesimo flogisto, lo appropria a se stessa, lo mescola co' suoi elementi, forma con esso lui una vera chimica dissoluzione, e di aria atmosferica viene a cambiarsi in aria fissa; tale essendo appunto il carattere del flogisto del mosto, simile in ciò a quello di molti altri corpi combustibili, il quale unendosi all'aria comune, la converta in aria fissa, a differenza del flogisto dei metalli, il quale la fa sparire intieramente[5].

Il dio Bacco
            Ora che allo sviluppo del flogisto, e quindi ai progressi della fermentazione sia indispensabile il contatto dell'aria respirabile, un punto era questo, che meritava d'esser confermato con una prova di ultima evidenza. Presi a tale effetto tre grandi recipienti di vetro, tutti e tre d'una medesima capacità, ed infusi in ciascuno di essi un'egual porzione di ottimo mosto, in maniera che ne fossero pieni solo per due terzi. Al primo di questi ho estratta l'aria col mezzo della macchina pneumatica; sicché il mosto di questo primo recipiente se ne rimase entro al vuoto. Nel secondo recipiente , dopo averlo similmente vuotato d'aria, v'introdussi dell'aria fissa. Nel terzo in fine lasciai, che il mosto se ne restasse in contatto con l'aria atmosferica. Chiusi in seguito perfettamente questi recipienti per levare al mosto la comunicazione con l'aria atmosferica esteriore, e dopo due mesi[6], duranti i quali la temperatura era stata dai 10 ai 14 gradi di Réaumur, trovai, che il mosto del primo recipiente, il quale era rimasto nel vuoto, non avea dato alcun segno di fermentazione: quello del secondo, che trovavasi in contatto col gaz, indicava d'aver sofferto solo qualche principio di moto fermentativo: e quello del terzo, che se ne stette in unione con l'aria respirabile, era nel colmo delle sue effervescenze. Replicando poscia per ben altre sei volte questi confronti, n'ebbi sempre un di presso i medesimi risultati; il che porge al Fisico illuminato un'evidente ripruova della necessità dell'aria atmosferica nel lavoro della fermentazione vinosa. Che se per entro al mosto del secondo recipiente, ove avea introdotto l'aria fissa, si potè scuoprire qualche leggiero impulso di fermentazione, ciò potrebbe essere accaduto in grazia di una qualche porzione di aria respirabile rimasta insieme col gaz mefitico, già bastevolissima a dar questo urto primiero.

ARTICOLO IV.
L'aria atmosferica dee essere animata da un qualche grado di calore.

            Ma se l'aria atmosferica ha questa proprietà di trarre a se il flogisto da' corpi col solo starvi in contatto, perché non assorbe ella egualmente il flogisto de' metalli, de' carboni, degli olj, e di tante altre sostanze, che abbondano di questo principio? Ciò prova, che per attrarre il flogisto il solo contatto dell'aria non basta, quando non sia questa animata, e rinvigorita da un grado di calore, più, o meno intenso, a misura della più o meno forte aderenza, onde il flogisto è accoppiato alle sostanze medesime. Quindi per isvolgere il flogisto dai metalli l'aria ha bisogno d'un calore de' più gagliardi, e veementi[7]; dovecché per impossessarsi del flogisto dell'aria nitrosa, del Piroforo d'Homberg, del Fosforo di Kunkel, le basta qualunque mitissimo grado della temperatura comune. Ora per rapporto al flogisto del mosto, una lunga serie di continuate Osservazioni ci ha dimostrato, che affinché l'aria comune possa assorbirne quella porzione, ch'è necessaria per dare impulso al processo fermentativo, si richiede ch'ella sia alla temperatura di alquanti gradi sopra il punto della congelazione[8]. Se il calore fosse più intenso di molto, il corso della fermentazione verrebbe a perturbarsi, ed il liquore passerebbe tumultuariamente alla fermentazione acida, e quindi all'alcalina: del che con varie prove dirette me ne sono assicurato. Per l'opposto entro un ambiente troppo rigido il lavoro riesce affatto languido, e talvolta si riduce a nulla, come lo avvertì il celebre Signor Giuseppe Macquer[9], asserendo, che les liqueurs les plus susceptibles de fermentation ne fermentent point lorsqu'elles sont exposées à un trop grand froid. Di ciò ne feci io stesso l'esperimento col porre del mosto assai zuccheroso in fondo ad una Ghiacciaja, in cui il freddo era di tre gradi sotto allo zero. Per lo spazio di otto giorni continui, in cui la temperatura si mantenne a quel grado, non apparve alcun vestigio di fermentazione: e ad un grado di freddo più avanti il mosto stesso si congela.

ARTICOLO V.
I principj del tartaro sono riconosciuti necessarj
per promuovere la fermentazione vinosa.

            Conosciuti i mezzi principali, che mette in opera la natura per promuovere il lavoro della fermentazione vinosa, sforziamoci di portare un nuovo lume fra le tenebre, che oscurano questa parte di Fisica, e cerchiamo nella Filosofia il filo, onde uscire da questo spaventevole laberinto. Il dubbio, che ci rimane tuttavia a rischiarare è se poste le condizioni finora rimarcate, ne debba necessariamente seguire la fermentazione vinosa. Ciò senza veruna esitanza fu sempre creduto di certo; sull'appoggio forse di una qualche abbagliante teoria fabbricata senza il sicuro sostegno dell'osservazione. Ma l'esperienza, quell'antica, e sicura maestra, cui dobbiamo attenerci per non cadere in errore, ci ha chiaramente avvertiti, che il mosto quando venga privato del suo tartaro, punto non fermenta. Riempiei tre grandi recipienti di acqua pura; cui feci prima disciorre tanto zucchero rossiccio, ed impuro[10], che fosse in proporzione di quattro oncie per ogni libbra di acqua, collocando poscia i medesimi recipienti ad una temperatura dai 10 ai 15 gradi di Réaumur.


Pigiatura rinascimentale

          Qui ogni cosa era favorevole alla fermentazione; eppure durante il corso di tre mesi continui, non mi fu possibile di scuoprirne per entro al mescuglio alcun principio, anzi dopo questo tempo avendo fatto passare il liquore alla distillazione, non ottenni neppure una goccia di spirito ardente. Ripetei un gran numero di volte questa prova, variai in diverse guise la proporzione dello zucchero, moltiplicai i punti di contatto tra la dissoluzione, e l'aria atmosferica: ma ogni diligenza mi riuscì vana. Dunque se una sostanza muccosa, e dolce, qual'è lo zucchero, ancorché diluita in una discreta quantità di acqua, ancorché posta in contatto con l'aria respirabile, ed esposta ad un sufficiente grado di calore, non è atta per se sola a fermentare, è facile il conoscere, che le condizioni finora esposte non bastino, e quindi, che si richieda il concorso di qualche altra causa. Era troppo naturale l'immaginarsi, che questa causa non dovesse altronde ricercarsi, fuorché, tra i principj, che ci somministra l'analisi del mosto: l'acido libero, ed il tartaro, che sono amendue elementi del mosto, furono le sostanze prime, che mi si affacciarono alla mente. In conseguenza di queste riflessioni venni prima a disciorre un po' di acqua bollente del tartaro greggio, indi riempiuti di acqua i tre recipienti sopra nominati, vi mescolai lo zucchero nella già indicata proporzione di quattr'oncie per libbra, e poscia raffreddata la dissoluzione del tartaro, la versai entro a' medesimi recipienti; con l'avvertenza, che il tartaro fosse nella dose di tre dramme per ogni libbra di acqua, cui vi aggiunsi 9 dramme di farina di formento, similmente per ogni libbra di acqua, per imitare la fecula del mosto. Cinque giorni appresso il liquore cominciò a fermentare con tanta forza, con quanta è solito il mosto più perfetto. La fermentazione durò 15 giorni, essendo la temperatura a' gradi 12 di Réaumur, in capo de' quali il liquore si trovò cambiato in ottimo vino. Varj furono gli sperimenti, che in seguito ho istituiti, ed il risultato fu, che quando insieme collo zucchero io mescolava anche il tartaro, e la fecula, il liquore costantemente fermentava, e ne' recipienti, ove io riponeva il solo zucchero senza altro, niente mai vi si scuopriva, che desse indizio di fermentazione. Nel rifare queste prove io ebbi altresì tutto l'agio di osservare che la dose più favorevole alla fermentazione è quella, che ho sopra indicata, cioè, di 4 oncie di zucchero, di tre dramme di tartaro, e 9 di farina per ogni libbra di acqua.

Cantina
            Riflettendo poscia; che il tartaro è un composto di alcali, e di acido, flogisticato, volli i
ndagare a quale di questi due principj si dovesse attribuire l'impulso della fermentazione. Riempiuti quindi al solito i tre recipienti di acqua mescolata collo zucchero, versai in ciascuno di essi a varie dosi dell'alcali di tartaro. Ma l'esito non corrispose. Durante il corso di due mesi non si vide mai comparire alcun principio di fermentazione; né il liquore, che in appresso ho distillato, offrì la minima stilla di spirito ardente. Riempj della consueta dissoluzione i medesimi recipienti; ma in luogo di tartaro vi aggiunsi dell'acido puro tartaroso, che avea ricavato dalla crema del tartaro, secondo il metodo del Signor Scheele. Io rimasi sorpreso dal vedere, che in veruno de' miei recipienti il liquore non diede mai alcun segno di fermentazione, per quanto io replicassi i tentativi, e le prove, e per quanto io procurassi di variare la dose dell'acido con la dissoluzione zuccherosa. Ma dopo la prima Edizione di questa Memoria avendo con più attenzione, e d'industria replicate queste esperienze, m'avvidi, che questo mosto artificiale era tardo bensì, a concepire il moto fermentativo, ma in fine il concepiva. Sicché in capo ad un mese, e mezzo il vidi finalmente fermentare, e ne ottenni del vino. Sicché dopo le serie di tante, varie, ed in molte guise replicate sperienze mi sono alla fine certificato, che l'eccitamento alla fermentazione si dee attribuire all'acido sì libero, che tartaroso; che questo acido è il primario agente in questo lavoro; che esso tende a decomporre la parte zuccherosa spogliandola, e separandola dalla porzione più libera del suo flogisto; che l'acido libero opera più prontamente questa decomposizione, e quindi quel mosto che di soverchio ne abbonda è facile a passarsene alla fermentazione putrida; che l'acido tartaroso, avendo, dirò così imbrigliata la sua forza eccitatrice, opera più lentamente; che la sostanza gommosa concorre essa pure a promuovere una pronta fermentazione, e che tra tutti i principj componenti il mosto, il tartaro, l'acqua, lo zucchero, e la sostanza gommoso-resinosa sono i principali requisiti per la trasmutazione del mosto in vino.


[1]    Mi si potrebbe opporre, che l'aria fissa, la quale risulta da una particolare combinazione del flogisto con l'aria atmosferica, è avidamente assorbita dall'acqua, e quindi che l'acqua è anzi affine al flogisto. Ma conviene riflettere, che il flogisto dell'aria fissa non è mescibile con l'acqua per se; ma o perché l'aria gli serve d'intermedio, o forse meglio in forza della particolare sua combinazione con l'aria stessa: mentre anche l'aria flogisticata è un mescuglio di aria, e di flogisto, eppure egli è certo, che questa non viene punto assorbita dall'acqua.
[2]    Quello, che porge l'ultima evidenza a questo fatto si è il sapere, che lo zucchero è una delle materie più fermentabili; mentre essendo mescolato con una sufficiente quantità di acqua, e di tartaro, fermenta tosto, e viene a cambiarsi in vino: dovecché se si conserva nello stato di sal concreto, quale si trova nel Commercio, persevera gl'interi anni senza soffrire il minimo cambiamento.
[3]    L'aria comune risulta da un mescuglio di aria mefitica, e di aria vitale per un dipresso. Ora a parlar propriamente non è che la sola porzione di aria pura, che attragga il flogisto.
[4]    Dico segnatamente il contatto, e il non rinovellamento dell'aria mentre il mosto fermenta eziandio ne' vasi chiusi, avvegnacché con minor impeto, di quel che sia ne' recipienti aperti.
[5]    Noi non sapremo rendere una ragione soddisfacente, perché il flogisto del mosto, dello zolfo, degli olj, ec cambi l'aria respirabile in aria fissa: ed il flogisto de' metalli la faccia intieramente sparire, senza sapere ove ella si vada, o cosa divenga. Siamo troppo lontani dall'avere delle nozioni chiare, e distinte sopra ciò, che tanto si appressa alla struttura intima, ed elementare de' corpi.
[6]    Una delle differenze tra la fermentazione de' vasi aperti, e quella che si compie ne' vasi chiusi è, che la prima non ricerca che pochi giorni, e la seconda esige il corso di più mesi prima di giungere al suo termine.
[7]    Ciò è verissimo, quando si tratti di strappare dal seno de' metalli con una rapidissima evoluzione il loro flogisto: ma dall'altra parte non può negarsi, che anche l'aria sostenuta dal solo calore dell'atmosfera non giunga a privar lentamente queste sostanze d'una porzione del loro flogisto. Le ruggini, di cui si veggono attorniate le spranghe di ferro esposto all'azione combinata dell'aria, e dell'acqua ci somministrano un esempio luminoso di questa verità: mentre ognun sa, che la ruggine non è altro che una calce, ossia terra metallica, priva d'una massima parte del proprio suo flogisto.
[8]    Il grado di calore, che sembra più opportuno per la fermentazione vinosa; è tra i dieci, ed i sedici gradi di Réaumur.
[9]    Dictio. de Chymic. Art. Fermen. [Macquer, Dictionnaire de Chimie, Tome Premier, Paris 1778 – Voce Fermentation pag. 479].
[10]  Lo zucchero più proprio ad esser mescolato con l'acqua sembra essere il greggio, ed impuro, a motivo della parte mucillagginosa, estrattiva, e colorante, di cui è molto pregno: altrimenti converrebbe dire, trattandosi di mescolarla col mosto.

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