venerdì 1 giugno 2012

Memoria
Sopra la Nebbia dei Vegetabili



Padre Giambatista da S. Martino Cappuccino
Coronata dalla pubblica Accademia d'Agricoltura di Vicenza il dì 16 Maggio 1785.
Vicenza 1785. Nella Stamperia Turra.a



Non eadem arboribus pendet vindemia nostris*.
Virg. Georg. Lib. 2.




Quum in Plantarum genere ad nutritionem, vel foecunditatem, atque adeo ad ortum, alimentum, incrementum, germinationem, vel foecunditatem omnes pertineant, ubi harum aliqua actionum vel impedita prorsus, vel imbecilla, vel depravta fuerit, praecessisse jam morbum, et caussam, quae morbum fecit, necesse est.
Cost. De univers. Stirp. Nat.b

Introduzione

            L'Argomento saggiamente proposto dall'Illustre, e cotanto benemerita Accademia d'Agricoltura di Vicenza, sopra la malattia de' vegetabili, che propriamente merita il nome di Nebbia, egli è uno de' più utili, e benintesi Programmi, che per l'agreste economia potessero mai proporsi alla pubblica discussione. Qui si contempla l'oggetto interessantissimo del vitale nostro risorgimento; qui si propone la guarigione d'un male, ch'estermina il più bel fiore delle nostre campagne; qui si apre la via a dei solidi, universali vantaggi, che risvegliar deono le nostre più serie attenzioni. Io non saprò pareggiare né la facondia, né la profondità, né l'erudizione degli altri celebri Concorrenti; non pertanto io non ricuso d'impiegarvi i deboli sforzi del mio talento. Parlerò il semplice linguaggio della Natura; seguirò d'un occhio filosofico i suoi andamenti; la sola sperienza sarà la mia guida; ed il ben essere de' miei simili, il sublime disegno di questa, qual siasi per essere, mia industria, e fatica. In tre Articoli verrà ripartita la presente Memoria, come lo sviluppo delle idee necessariamente il richiede, i quali avranno di mira i tre punti principali dell'enunziato Programma, espresso ne' seguenti termini. “Quali sieno i veri caratteri della malattia de' vegetabili, che propriamente merita il nome di Nebbia; quali le cause da cui deriva; e quali gli sperimentati, ed utili rimedj sì preservativi, che curativi, universali, e particolari per difendere, e liberare cadaun erbaggio, grano, frutto da questa dannosissima malattia”. E senza più dilungarmi io entro all'esame del primo.

ARTICOLO I.

Quali sieno i veri caratteri della malattia dei vegetabili,
che propriamente merita il nome di Nebbia.

            Sono i vegetabili esseri viventi: la loro vita dipende da un ascoso, e complicato meccanismo, i dettagli del quale sono finora in gran parte sfuggiti allo sguardo, ed alla penetrazione dei Fisici. Quel che di certo, dietro la scorta d'un Grewio, d'un Malpighi, d'un Mariotte, d'un Hales, abbiamo potuto scoprire, si è, che la loro organizzazione è molto involuta, che l'azion regolare del succo nutritivo, il quale in esso loro trascorre, si rende troppo necessaria allo sviluppo, all'accrescimento, alla fecondità delle piante; e quindi, che ogni minimo sconcerto, per cui un tal succo ne venga alterato, deesi manifestare per via di certi sintomi, i quali annunziano, ch'esse piante ne sono afflitte, e che si trovano in uno stato d'infermità, e di malore. Per la qual cosa il celebre Tournefort[1] ebbe ad osservare, che tutte le malattie de' vegetabili, tranne quelle, che dipendono da qualche esterno accidente, tutte derivano da un qualche vizio del succo alimentatore: e noi avremo occasione di osservare in appresso, che la malattia della Nebbia, che in fra tutte le altre è la più universale, e la più dannosa[2], ha la sua sede nello sconcerto appunto degli umori.

            Due pertanto io riconosco essere i veri caratteri della Nebbia. L'uno principale, e l'altro accessorio. Il primo non si manifesta per lo più, che all'occhio filosofico del sagace Osservatore; il secondo si rende palese al comune del popolo. Quello forma il vero costitutivo della malattia; questo n'è come l'effetto, per cui una tal malattia si manifesta al di fuori.

            Non mancano fra moderni Scrittori, tra quali il celebre Vallisnieri[3],quelli che appoggiati forse all'antica opinione di Plinio[4] asseriscono, che l'essenzial carattere della Nebbia delle piante consiste in un ammasso di luridi vermiciattoli, i quali, tuttoché impercettibili all'occhio disarmato, rodono poco a poco, e danno il guasto a' seminati. In un secolo, in cui l'azione de' Microscopj fu portata pressoché all'ultimo grado di perfezione, non tardai di molto a formare un decisivo criterio sopra la veracità d'un tal sentimento. Mi posi di proposito ad osservare col Microscopio[5] moltissime piante infette di Nebbia. Per verità nella prima osservazione, che feci sopra una spiga di Formento annebbiata, mi accadde di vedere tra la polvere della Nebbia certi Bruchi simili a' vermi, i quali se ne stavano colà dentro per lunga pezza immobili, e difficilmente da essa si distinguevano. Replicai successivamente le Osservazioni; presi per mano molte e varie specie di vegetabili; ebbi l'avvertenza di tener dietro a tutti i gradi dell'annebbiamento, cominciando dal primo apparir della Nebbia fino all'ultimo suo termine micidiale; ed il fatto si è, che in un centinajo per lo meno di esperimenti, solo tre, o quattro volte mi venne di osservare simili Bruchi. Indizio ben chiaro e patente, che l'essenzial di questa malattia non consiste nella raunanza di quest'insetti; ma che essi deggiono essere una cosa puramente accidentale; forse perché la materia della Nebbia è favorevole allo sviluppo de' loro germi, e al nutrimento de' loro individui[6].

Muffe su foglie di begonia.
            Se non più veridico, più ingegnoso almeno sembra il parer di coloro, i quali pensano, che le piante restino annebbiate allora quando dopo una rugiada, o una pioggia assai scarsa, da cui vengono asperse le superficie delle medesime, succeda un Sole chiaro, ed ardente. Allora (dicono cotali Fisici, a' quali sembra, che volesse aderire anche l'immortal Galilei) le gocciole della rugiada, o della pioggia cadute sulle parti asciutte delle piante pigliano la figura d'un emisfero; e quindi, facendo le veci di altrettante piccole Lenti piano-convesse, convergono, ed uniscono in un eguale numero di punti i raggi del Sole, ne' quali resta abbrustolata, e danneggiata la pianta. Ma oltr'a che assai più rare sieno queste rugiade, e queste piogge così scarse, di quello che gli annebbiamenti, che veggiamo nelle nostre Campagne; merceché quando la rugiada, o la pioggia è un po' abbondante, le gocciole, unendosi insieme, perdono la loro sfericità; egli è altresì inconcepibile come queste piccole Semilenti abbiano ad abbrustolare quella porzione di pianta, ch'è in contatto colla loro parte piana; mentre una Lente emisferica non incende i corpi, se non alla distanza[7] di tre semidiametri della sua sfericità; e per quanto piccola sia la Lente, la distanza di tre semidiametri dee esser sempre più in là dell'immediato contatto*. Ma per accertarmi del danno, che effettivamente potessero recare queste acquee Semilenti [Lenti in “Opere”] per via dell'abbruciamento, presi due Termometri sensibilissimi, costruiti secondo i principj di Réaumur, e con la punta di una penna temperata da scrivere cospersi di piccole goccie d'acqua pura tutto attorno la palla d'uno di essi, lasciando frattanto intatta la palla dell'altro. Amendue questi Termometri segnavano all'ombra gradi 16 : gli esposi tutti e due al Sole nel medesimo istante; venti minuti appresso, quello, ch'era caricato di goccie salì a gradi 28, l'altro a' gradi 28 . Sicché le Lenti emisferiche di acqua non solo non aumentarono il calore col raunamento de' raggi; ma produssero anzi qualche sorta di freddo per motivo della svaporazione[8], come è noto ai Fisici moderni: quindi il Termometro, ch'era caricato di gocciole, si tenne al di sotto dell'altro di di grado. Variai l'esperienza. Presi un vase di viole gialle doppie, ed ebbi la sofferenza di caricarne tutta la pianta da capo a fondo di piccole goccie, nella maniera stessa, che avea fatto con la palla del Termometro; lo esposi dappoi al sol cocente finché le gocciole rimasero del tutto svaporate; replicai per ben sei volte la prova, né la pianta soffrì il minimo detrimento.

            Conosciuta l'insussistenza, su di che altri fondano l'essenzial della Nebbia, resta ora ad indagare quale dunque sia veramente il carattere costituente una tal malattia. Da principio non fu che un semplice mio sospetto il pensare, che potesse la Nebbia consistere forse in una ostruzione de' vasi destinati alla insensibile traspirazione. Sapeva con l'Hales[9] esser probabile, che dalla soppressa traspirazione dovessero le piante contrarre delle morbose affezioni. Ma, non volendo io credere a me stesso, mi rimaneva sempre da dubitare, se questo poi fosse in realtà il vero carattere di questa malattia. Quindi, chiusi gli orecchi a qualunque discorso, o raziocinio, mi posi in uno stato di piena indifferenza, risoluto di non ascoltare, che la sola voce della Natura, ch'è quella dell'esperienza. Mi erano perciò necessarie molte e replicate prove, dirette al rischiaramento di questi due punti. 1. Che le piante traspirano in istato di sanità. 2. Che in stato di annebbiamento esse piante più non traspirano. Che le piante traspirino in istato di sanità per tutte le parti della lor superficie, ciò era ammesso e comprovato dai Fisici più accreditati; pure io voleva accertarmene colle mie proprie esperienze. Che nelle piante annebbiate rimanga soppressa la traspirazione, questa prova, almeno ch'io sappia, non era stata tentata da alcuno.

Muffa grigia foliare o botrite.
            Parecchie sperienze, che avea rigorosamente istituite, sembravano assicurarmi, che quella folta peluria sparsa alla superficie de' giovani ramicelli, degli steli, de' fiori, delle foglie, ma sopra il tutto nel piano inferiore delle foglie medesime, esser debba l'organo principale[10] della traspirazione de' vegetabili. Cominciai quindi dall'esaminare col Microscopio i finissimi peluzzi di questa lanugine, da me, e da molti esperti Osservatori, cui li feci osservare, tenuti asseverantemente per altrettanti tubi cilindrici, traforati nel mezzo, ed aperti nell'estremità, dalla quale apertura se ne scappa la insensibile traspirazione. Presi da' varj vegetabili nel tempo della più abbondante loro traspirazione moltissime foglie, con l'avvertenza che non fossero danneggiate in un minimo che dalla nebbia; e sottoposta al Microscopio[11] la superficie loro inferiore, vidi con l'ultimo della chiarezza i medesimi peli essere tutti pieni, turgidi, e gonfj, all'estrema apertura de' quali apparivano di quando in quando delle minutissime gocciole d'un umor trasparente, che ben tosto svaporava sul fatto. Nello stesso tempo mi presi la cura di esaminare le foglie di altrettante piante della medesima specie infette dalla Nebbia, quante erano quelle, che avea considerate in istato di sanità; ed ebbi tutto l'aggio di osservare, che questi minimi tubetti erano o tutti, od in massima parte divenuti flosci, raggrinzati, ed appassiti, con la loro punta chiusa, inaridita, e contorta, dalla quale non ispuntava, né potea per verun modo spuntare la minima stilla di umore. Replicai parecchie fiate questi confronti, e n'ebbi sempre i medesimi risultati. Da questo primo saggio, non può negarsi, le mie conietture vennero ad acquistare un grado di probabilità, e di sicurezza molto considerabile.


            Quantunque io speri di non essermi ingannato in siffatti confronti; contuttociò, perché molti non prestano una piena confidenza alle Osservazioni Microscopiche, come quelle, le quali, se non sono eseguite con l'ultimo della circospezione e della cautela, sono soggette a molte ottiche illusioni; pure per togliere quest'ombra di sospetto alle mie fisiche ricerche, pensai rivolgermi ad un altro genere d'esperienze, che fossero del tutto decisive. Per comprendere, che i vegetabili traspirano, a taluno basterebbe il sapere, che tagliato un ramo d'una pianta qualunque, indi coperto con mastice il taglio, ed esposto il ramo all'aria libera, in capo ad alcuni giorni si trova notabilmente diminuito di peso. Pure una tal sperienza non mi sembra gran fatto provare la traspirazion delle piante, che risulta dalla secrezione di certi umori, fatta per mezzo di alcuni organi destinati ad operarla. Mercecché se io esporrò all'aria un pezzo inumidito di spugna, di pannello, di carta, o di altro simile corpo inorganico, dopo qualche tempo, il troverò scemato certamente di peso, senza che un tale scemamento indichi una traspirazione propriamente detta.

            Per aver di questa traspirazione una prova più autentica, ho seminate in altrettanti vasi ventiquattro piante di dodici specie diverse; sicché ogni due vasi conteneano due piante della medesima specie, e tutte mi crebbero vegete, rigogliose, e sanissime. Chiusi una di queste piante sotto un recipiente di vetro assai capace, entro al quale collocai similmente un Termometro di Réaumur, ed un esatto[12] Igrometro. Per impedire, che non entrasse nel recipiente altra umidità fuorché quella, che usciva dalla traspirazion della pianta, coprii con due lamine di piombo combaciate insieme tutta la bocca del vaso, in cui era la pianta, affinché la terra dello stesso vaso non tramandasse la sua umidità entro al recipiente, lasciandovi soltanto un foro, per cui passasse il fusto della pianta e lutando con mastice la commessura, che univa le due lamine di piombo, e gli orli eziandio del recipiente, che poggiavano sulle stesse lamine. Esposi tutto questo apparecchio al sole cocente, per promuovere in tal guisa la traspirazion della pianta. Al principio dell'esperienza il Termometro ivi chiuso segnava gradi 31 ½ di calore, e l'Igrometro era verso la siccità. Per ben cinque ore lasciai esposto questo apparecchio al sole, al termine della quali il Termometro era salito di un grado, ed ; sicché marcava gradi 32 , e l'Igrometro era disceso 38 gradi verso l'umidità: di maniera che l'aria del recipiente era talmente saturata dall'umor che avea traspirato la pianta, che n'erano inumidite altresì e le pareti interne del recipiente di vetro, e le due lamine di piombo, che ne formavano il pavimento.

Muffa bianca.
            Rifeci la stessa operazione con tutte le ventiquattro piante, variandone in molte guise l'esperienza, e n'ebbi sempre proporzionalmente il medesimo risultato. Anzi col variare delle prove non solo venni a comprendere in una maniera affatto convincente, che i vegetabili traspirano; ma dalla maggiore, o minore discesa, che faceva l'Igrometro chiuso nel recipiente, ebbi tutto il campo di raccorre le seguenti utili deduzioni. 1. Che una pianta esposta all'azione immediata del sole, poste tutte le altre cose uguali, traspira assai più, che se fosse lontana dai raggi del sole, quantunque in un'aria ugualmente calda. 2. Che quelle piante, le quali conservano le fronde d'inverno, traspirano meno di quelle, che se ne spogliano. 3. Che similmente le piante assai succose traspirano meno delle piante di natura più adusta. 4.Che in un'aria secca le piante traspirano più, che in un'aria umida. 5. Che la traspirazione è in ragione diretta delle superficie traspiranti: di modo che, poste tutte le altre cose uguali, una pianta, che ha il doppio di foglie, di rami, di tronco e, in una parola, di superficie, traspira doppiamente di un'altra della stessa specie, che ha solo la metà di superficie.

            Certificato della traspirazion delle piante in istato di sanità, mi restava a dilucidar l'altro punto ancora più essenziale, vale a dire, se nelle piante infette di Nebbia la traspirazione rimanga od in tutto, od in parte soppressa. Per venire a capo di questo mi furono necessarj i più esatti e rigorosi confronti. Prima di tutto esposi dodici de' miei vasi con altrettante piante di specie diversa ad essere artificialmente annebbiate, secondo il metodo, che soggiungerò in appresso, e lo furono ben presto: serbando frattanto illese le altre dodici di specie corrispondente. Cominciai il confronto con due vasi, in ciascuno de' quali eravi un cespuglio di quattro gambe di formento in erba, essendo il formento di un vaso danneggiato al maggior segno dalla Nebbia, mentre quello dell'altro era sanissimo. Otturai la bocca d'amendue i vasi con lamine di piombo, affinché l'umido del terreno, ch'era ne' vasi, non avesse a sconcertar l'esperienza, lasciando solamente i fori, per cui passassero i cespugli. Procurai, che il formento di tutti due i vasi avesse un di presso la medesima superficie, col risecar porzione di quello, che mi sembrava averne più, ad oggetto che per questa parte la virtù traspirante fosse uguale. Chiusi poscia con due recipienti di vetro d'eguale grandezza i due cespugli di formento, cioè quello ch'era annebbiato, e quello pure che non lo era. Indi, collocando sotto a ciascuno di questi due recipienti un Termometro ed un Igrometro, esposi nel medesimo istante questi due apparecchi al Sole, avendo in riflesso, che il formento di tutti due i vasi ne fosse percosso in una maniera uniforme. I due Termometri sotto a' recipienti segnavano da principio amendue gradi 30 di calore; e i due Igrometri marcavano egualmente il medesimo grado di siccità. Dopo cinque ore e tre quarti[13] i due Termometri erano discesi amendue a gradi 29½; ma negl'Igrometri vi trovai un divario notabilissimo. L'Igrometro, ch'era chiuso sotto il recipiente insieme col formento sano, era disceso gradi 39 verso l'umidità; mentre l'altro, ch'era chiuso insieme col formento annebbiato, era disceso di un solo grado: prova evidente, che il detto formento annebbiato non avea traspirato quasi niente.

            Questa operazione fu da me ripetuta con tutte le dodici copie di piante di specie diversa, praticando ed usando sempre le medesime circospezioni e cautele; ed i risultati delle molteplici mie osservazioni furono. 1. Che le piante sane traspirano moltissimo, mentre l'Igrometro con esse racchiuso discendeva sempre di 25, di 30, e perfin di 40 gradi, a misura delle varie combinazioni, o delle diverse circostanze già sopra indicate. 2. Che le piante annebbiate traspirarono o poco, o nulla; imperciocché l'Igrometro o si manteneva costante allo stesso grado di siccità in cui era prima, o di poco discendeva. 3. Che la discesa dell'Igrometro era in ragione inversa dell'annebbiamento più, o meno avanzato: sicché, con le piante estremamente annebbiate l'Igrometro si manteneva al grado primiero, o poco discendeva; ed a misura che la Nebbia era minore, cresceva la sua discesa di 8, di 10 e talor di 15 gradi.

            Dietro la serie di queste sperienze mi sembra poter con tutta sicurezza asserire, che il vero carattere essenziale, e costitutivo della Nebbia de' vegetabili consiste in una ostruzione de' vasi esalanti, da cui ne viene in seguito necessariamente impedita la insensibile traspirazione. Quali poi sieno gli effetti di questa traspirazione impedita è cosa facile il poterlo dedurre dagli effetti analoghi, che succedono per l'impedimento di questa necessaria secrezione negli animali: ristagno, ed ingorgamento di umori, acrimonia de' sughi i più necessarj, lacerazione de' vasi, pessima digestione; lo sconcerto in fine, l'attristamento, il mal essere, e la morte stessa delle piante.

            Potrebbe in oltre nascere il dubbio, se il carattere di questa malattia sia contagioso; vale a dire, se una pianta sana possa rimanere infetta di Nebbia col solo stare in contatto con un'altra pianta annebbiata. Dai risultati delle molteplici prove, che ne feci, posso con franchezza asserire, che per l'ordinario la Nebbia non è mal contagioso, e che solo in qualche caso accidentale potrebbe esserlo. E per parlare più filosoficamente, quando quella materia ostruente, che serve ad otturare i vasi della traspirazione, della quale parleremo nel seguente Articolo, è in tanta copia, che dalla pianta infetta possa venirne comunicata porzione alla pianta sana o per via di soffregamento, o di altro, in tal caso la pianta sana verrà a risentirsene più, o meno, in ragione composta e della quantità di questa materia, e della superficie della pianta, che ne rimane cospersa. Del resto, se il carattere della Nebbia non è per se stesso contagioso alle piante, egli è però nocivo, per quanto asserisce Carlo Nicola Langio[14], alla salute degli uomini; non solo col cibarsi di erbaggi, e di frutti infetti di Nebbia, ma altresì qualor si azzardano a camminare, specialmente a piede ignudo, per seminati, e per l'erbe attaccate da un simil malore: questo sentimento fu poscia approvato dagli Atti medico-fisici[15] dell'Accademia Cesareo-Leopoldino-Carolina de' Curiosi della Natura. Per verificar questo fatto in una maniera degna dello spirito d'un Filisofo sarebbe necessaria una serie di molte, e circostanziate sperienze, che fossero dirette a questo scopo, e che io non ho avuto fin ora né il tempo, né l'opportunità d'intraprendere. Tutto quel più, che posso asserir con verità di me stesso, si è, che qualora in sul mattino per motivo delle mie Osservazioni io mi tratteneva troppo a lungo fra i seminati, o fra le piante annebbiate, m'insorgeva una cotal molesta impressione, ed una siffatta languidezza, che mi rendeva inabile alle più serie applicazioni, e mi persisteva buona pezza del giorno.

            Conosciuto il carattere primario della Nebbia de' vegetabili, difficil cosa non sia il conoscere l'altro carattere secondario, ch'è come l'effetto del carattere primario, ed essenziale, poiché questo cade sotto l'occhio di tutti, ed ogni vil bifolco vanta per poco il distinguerlo. Quindi in tre parti diverse dei vegetabili si manifesta principalmente questo carattere secondario. 1. Nelle parti esterne, specialmente nelle più tenere, come negli steli, nei giovani rami, nelle foglie, ne' fiori, ne' frutti. 2. Nella loro parte più interna, cioè nel midollo. 3. Nella sostanza de' frutti.

Botrite su grappolo d'uva.
            Le foglie, e tutte le altre tenere parti esteriori, subito che la pianta comincia ad annebbiarsi, acquistano da prima un colore pallido e smorto, talor rossigno, talor giallognolo, talor nericcio, o di più altri colori variegato. Le fronde de' Gelsi restano spruzzate di macchie pavonazze; le foglie delle Viti asperse d'un rosso cupo; i gambi delle Fave anneriti. Col crescer della malattia il color diviene sempre più livido, le striscie si fanno come abbronzate, e le foglie talor del tutto si dissecano: per la qual cosa le piante erbacee, nelle quali tutto il vantaggio che noi vi ricaviamo dipende dalle foglie, come sono la Lattuga, il Cavolo, la Cicoria, cui possono aggiungersi anche le foglie de' Mori, divengono del tutto inutili agli usi umani. In alcuni altri vegetabili si rende palese questo carattere nelle parti interne. Egli attacca il midollo specialmente del Finocchio, del Cavolo-fiore, dell'Appio, e di cotali altre simili piante: il qual midollo se ne resta ristretto, appassito, spugnoso, e senza umore. Nella sostanza de' frutti poi se ne rivelano, e se n'esperimentano in un modo particolare i perniciosi effetti. Gli agrumi, come i Cedri, gli Aranci, i Limoni, pieni d'una materia analoga alla crusca, non rendono succo: le Pere, i Ficchi, le Pesche, e simili restano appassite, e d'un sapore amarognolo, piccante, ed ingrato: le biade, il Maiz, la Vena, il Formento, l'Orzo, la Lente, e tutti gli altri grani e legumi ne patiscono notabilmente. Eglino o se ne vanno a vuoto, o rimangono talmente ristretti, grinzosi, e intisichiti, che rendono pochissima sostanza farinosa.

            Tali sono i veri caratteri della malattia de' vegetabili, che propriamente merita il nome di Nebbia. Abbiam dimostrato con la serie di molte sperienze, che il carattere primario di questa malattia consiste nella ostruzione di que' vasi, che servono all'insensibile traspirazione: abbiam fatto osservare, che il carattere secondario, che forma la diagnosi ed è l'indizio del carattere primario, appalesandosi in varie parti de' vegetabili, si rileva specialmente e dal cangiamento del colore, e dalla scarsezza, e pessima qualità de' loro prodotti. Ci rimane ora a vedere da quali cause derivi una malattia a' vegetabili cotanto dannosa.


a    La memoria è stata pubblicata anche in Opere del Padre Giovambattista da S. Martino, Tomo II in Venezia 1791 presso Antonio Perlini (pag. 60-122).
*    “Nè dalle nostre viti pendon l'uve” Libro II, 89 (traduzione di Bernardo Trento, La Georgica di Virgilio, Padova 1805).
b    Giovanni Costeo, De universali stirpium natura libri duo. E' citato in Francesco Ginanni, Delle malattie del grano in erba, Pesaro 1759 pag. 281.
[1]    Memoire de l'Acad. des Sciences 1705.
[2]    Egli è impercettibile il danno, che risulta da questa crudel malattia. Nella sola Provincia Vicentina, la quale, secondo il computo del Sig. Angelo Giovanni Novello nella rinnovazione dell'Estimo generale del 1665, contiene Campi 360915; e lasciando fuori i Campi incolti, i quali secondo il Sig. Brianati sono 3917, rimangono Campi frugiferi 356998; posto che la Nebbia non recasse altro disavvantaggio, che di soli tre Ducati correnti per Campo, il che è inferiore di molto al vero, il danno in tutta la Provincia ascenderebbe a 1070994 Ducati.
[3]    Tratt. della Cur. Orig. degli Svil. [Antonio Vallisnieri, Della curiosa origine degli sviluppi, e de' costumi ammirabili di molti insetti, Girolamo Albrizzi 1700, N.d.R.].
[4]    Gignuntur vermiculi et in grano, cum spica pluviis calor infervescit. Plin. Lib. XVIII. Cap 17. [C. Plinii Secundi, Naturalis Historiae lib. XVIII Cap. 17 (44) [2], N.d.R.].
[5]    Il Microscopio, di cui mi sono servito in queste Osservazioni, fu quello semplice di mia invenzione, già noto oramai a' Letterati d'Europa, adoperando in esso Lenti di minimo ingrandimento, cioè, che accrescono dalle 30 alle 90 volte il diametro dell'oggetto.
[6]    Il metodo, che verrà soggiunto nel decorso di questa Memoria, di annebiar con arte i vegetabili porge l'ultima decisione a questo punto. Siccome in simil modo dallo stato di floridissima sanità passano bruscamente le piante a quello della più deplorabile morbosa costituzione, così giammai non si veggon comparire questi Bruchi vermi-formi, per mancanza del tempo necessario allo sviluppo. Quindi se la Nebbia esiste senza i Bruchi, i Bruchi non sono causa della Nebbia.
[7]    Le Lenti emisferiche di cristallo, com'è noto ad ognuno, hanno il loro foco alla distanza di tre semidiametri; ma le Lenti acquee, essendo di una materia men densa, deono avere il loro foco ancor più lontano: sicché supposte queste gocciole di pioggia delle più piccole, cioè del diametro di ¼ di linea, il loro foco dee esser quasi di mezza linea, né perciò possono in verun modo offender la superficie delle piante sopra cui vengono a cadere.
*    In Opere del Padre Giovambattista da S. Martino, Tomo II in Venezia 1791 è scritto: “mentre una Lente non incende i corpi, se non alla distanza del suo fuoco, e per quanto piccola sia questa distanza, dee esser sempre più in là dell'immediato contatto.
[8]    Il freddo cagionato dalla svaporazione è quel fenomeno interessante, che il Sig. Cullen osservò il primo, che fu poscia confermato dalle belle sperienze del Sig. Baumé, e che oggimai è pervenuto alla notizia di tutti i Fisici.
[9]    “Puisque les Plantes, ou les arbres ont besoin, pour se bien porter, d'une transpiration abondante, il est probable, que plusieurs de leurs maladies viennent de ce, que cette transpiration est quelquefois interrompue”, Stat. des Veget. Cap I. exp. I. [Cap. I esperienza I, pag. 11 di La statique des vegetaux et l'analyse de l'air, Paris 1785 chez Debure, testo tradotto da De Buffon. Testo originale di Stephen Hales, Statical Essays: containing Vegetable staticks, London. In italiano il testo è stato tradotto, Statica de' Vegetabili, ed analisi dell'Aria, Napoli 1756.]
[10]  Oltre agli organi della traspirazione deggiono probabilissimamente ritrovarsi per entro a questa lanugine anche i vasi dell'assorbimento. Ma come distinguere questo doppio sistema di vasi? Quali di questi peluzzi faranno l'ufficio di vasi assorbenti, e quali l'ufficio di vasi esalanti? Il Microscopio maneggiato da una qualche mano maestra, e assistito dallo spirito di osservazione arriverà forse col tempo a dilucidar questo punto.
[11]  Gli esami sopra la peluria delle foglie furono da me istituiti con Lenti di minimo, e di mezzano ingrandimento, cioè con Lenti le quali accrescevano dalle 30 fino alle 700 volte il diametro dell'oggetto.
[12]  L'Igrometro, di cui mi sono servito nell'eseguire questa, e le altre seguenti sperienze fu quello a penna, non avendo in allora per anche ideato, e costruito il mio Igrometro a tunica vellosa, il quale è incomparabilmente più sensibile di qualunque altro, che fin ora mi sia noto. Rifeci con questo novello strumento la medesima prova; ed in tre quarti d'ora, onde rimase chiuso nel recipiente, discese dai 48 fino ai 100 gradi, ch'è il punto della umidità estrema, ossia della totale saturazione.
[13]  Facendo uso dell'Igrometro sopraccennato a tunica vellosa non è necessario spinger sì a lungo l'esperienza. Nel ripeter questa prova col detto nuovo Igrometro, il quale fu chiuso nel recipiente insieme col formento sano, in meno di tre quarti d'ora ei discese dai 32 fino ai 100 gradi, e quello ch'era chiuso col formento annebbiato discese solamente mezzo grado.
[14]  Non solum ex esu fructuum, herbarumque venenatarum morbis gravissimis se exponunt, verum etiam quando depluente rubigine in libero aere commorantur, aut nudis pedibus per gramina, ea humeclata circumambulant. Descript. Morb. ex esu & C. Cap. 15. [Caroli Nicolai Langii, Descriptio morborum ex esu clavorum secalinorum cum pane, Lucernae 1717].
[15]  Volum. II. Osserv. 57.

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