giovedì 12 luglio 2012

ARTICOLO III.
Mezzi per correggere i difetti del mosto.

            Il difetto universale di quasi tutti i mosti, e che necessariamente dee esser tolto di mezzo, affine di conseguire un vino di buona qualità, e di molta durata, si è la scarsezza della materia zuccherosa, in proporzione del principio acqueo, che quasi sempre di soverchio vi abbonda. La materia zuccherosa, non finiremo mai di ripeterlo, è la sola, che sia atta a convertirsi in spirito ardente. Ora se nel mosto scarseggia questa materia, se si trova diluita in una troppo grande quantità di acqua, il vino che ne dee risultare, sarà senza dubbio mancante di spirito, riuscirà debole, snervato, acquidoso, ed incapace di poter essere a lungo conservato. Ora in due maniere si può correggere questo difetto: o col togliere al mosto l'acqua soverchia, o coll'accrescere in esso la sostanza zuccherosa; mentre sì nell'una, che nell'altra di queste due maniere si riducono al necessario equilibrio, i prossimi principj del liquor fermentabile. I mezzi, che abbiam anora suggeriti per conseguire un mosto eccellente non sempre riescono; non tutti hanno i loro poderi di tal fondo, od in tal situazione, che sieno confacenti alle viti; non in tutti gli anni, per quanta attenzione si usi, riuscirà di poter vendemmiare in tempo asciutto; oltre che anche nell'uve meglio condizionate abbonda sempre il principio acquidoso, che in tutti i modi dee essere scemato.
            Il Sig. Maupin, il zelante Sig. Maupin, quell'uomo pieno di ardore per l'avanzamento dell'Arte Oenologica, il quale dopo anni ventisette, dacché esercita il mestiere dell'Avvocato di Bacco, sembra essersi irritato, perché niuno lo ascolta; per togliere egli l'acqua soverchia dal mosto, che è il primo de' due indicati mezzi, costuma di farlo concentrare per mezzo della evaporazione. Ei ripone del mosto entro a delle grandi caldaje sopra il fuoco, e mantenendo il calore fin quasi al grado della ebullizione, ve lo trattiene, finché arrivi notabilmente a scemare; indi per mezzo di un lungo imbuto l'introduce così caldo in fondo al tino entro all'altro mosto. Non niego, che con questo mezzo non si venga a diminuire l'acqua abbondante, e a dare per mezzo del mosto riscaldato un impulso maggiore ai progressi della fermentazione: accorderò altresì, che in tal guisa operando, non si sconcerti punto la natura del liquore, come a taluno poco pratico potrebbe forse sembrare; mentre il calore, che non eccede quello dell'acqua bollente, non è capace di alterarne i principj, quando una lunga evaporazione non venga troppo a diminuirli. Dirò solo, come più volte ebbi occasione di osservare, che il vino fatto in questa maniera è facile a corrompersi[1], e che a conseguire il medesimo intento v'ha un altro mezzo più efficace, più sicuro, più certo come quello che meglio si uniforma agli andamenti della natura.

            Questo mezzo consiste nel metter l'uva a riposare per un dato tempo, finché divenga appassita. Si stende perciò sopra un pavimento asciutto, sopra delle stuoje, sopra la paglia, procurando di serbarla in buono stato fino alla metà di Marzo, se si vuole. Durante questo tempo, se le toglie d'attorno i granelli putridi, ed ammuffiti[2], bisogna altresì ripararla dal gelo, il che facilmente si ottiene, mantenendo tepido il luogo, ove riposa l'uva, o con dei bracieri di fuoco, o col mezzo di una stufa. L'uva può rendersi tanto appassita, finché arrivi a perdere circa la metà del suo peso. Mediante questo lungo riposo non solo scema l'acqua superflua, ma si minora altresì in una maniera la più acconcia la dose dell'acido con l'aumento del principio zuccheroso. Più sopra abbiam fatto rimarcare, che la parte zuccherosa de' frutti si forma colla trasmutazione dell'acido rude in acido dolcificato, mediante il lavoro della vegetazione. Ora siamo in grado di aggiungere, che le frutta sufficientemente mature, anche dopo di essere staccate dall'albero, quando sieno con diligenza conservate, sono tuttavia in istato di acquistare nuovi gradi di maturità, continuando il loro acido rude a cambiarsi in sostanza zuccherosa. Di ciò ne abbiamo un esempio luminoso in tutte quelle varie specie di frutti, i quali posti per qualche tempo in riposo, perdono di mano in mano la loro acidità, e del medesimo passo van divenendo sempre più dolci, maturi, e zuccherosi.

            L'altra maniera di correggere il mosto consiste nell'accrescere artificialmente la porzione zuccherosa, ed è ugualmente ottima, ed efficace quanto la prima. Ciò si ottiene coll'introdurre nel mosto spremuto dall'uve fresche, quella quantità di zucchero, di miele, o di altra sostanza analoga, atta ad indurre una più giusta proporzione fra i principj del liquore fermentabile[3]. Io non mi faccio autore di questa interessante scoperta, ma neppure avanzerò cosa, del cui esito non me ne sia pienamente certificato con le mie proprie sperienze. Posi in due recipienti un'egual quantità di mosto, che industriosamente avea espresso da uve pochissimo mature. Corressi il mosto d'un recipiente, mescolandovi tanto zucchero raffinato, quanto fu bastante a renderlo d'un sapor simile ai mosti di ottima qualità, espressi da uve fresche, lasciando frattanto il mosto dell'altro così ributtante, ed acerbo, com'era naturalmente. A capo di otto giorni il mosto corretto era al colmo della sua effervescenza. Cinque giorni appresso lo travasai, riponendolo in bottiglie, ed al termine di un anno era divenuto chiaro, brillante, generoso, uguale a qualunque altro vino fatto col mosto più eccellente. Quello poi, che non era stato corretto, fermentò assai debolmente solo ventiquatro giorni appresso avea acquistato il sapor di vino, ma tuttavia acerbo, e disgustoso, lo riposi non per tanto in bottiglie, all'incominciar della calda stagione divenne aceto, e indi a poco tempo passò alla corruzione. Da questi complicati sperimenti, che in seguito ho più volte ripetuti, restai pienamente certificato, che coll'accrescere la parte zuccherosa, si viene ad equilibrare lo sbilancio dei principj del liquor fermentabile, e ad ottenere da qual siesi specie di mosto un vino dotato delle migliori qualità.

            Rimanghiamo non ostante di buona fede con noi stessi, non celiamo gli ostacoli, che sì nell'uno, che nell'altro di questi due metodi ci si presentano, e cercando un temperamento più opportuno, procuriamo di superarli. Accrescer la parte zuccherosa del mosto con una buona dose di zucchero, riesce d'una spesa non così indifferente: diminuirne la parte acquidosa col tenere in riposo l'uva per tutto l'inverno apporta della noja insieme, e del dispendio quantunque la noja, e 'l dispendio si riducano ad una piccolissima cosa, in paragone del considerabilissimo vantaggio, che indi se ne ricava. Pure s'è dovere d'un Filantropo di appianare in tutti i modi la via alle utili proposte, mi reco a suggerire un terzo metodo, che partecipando dell'uno, e dell'altro dei due precedenti, ne scema la spesa, ne minora il disturbo, e ci fa conseguire il medesimo intento. Ebbi occasione ben mille volte di osservare, che quando si tiene l'uva in riposo tutto al più per due mesi, ella acquista quel maggior grado di maturità di cui è suscettibile, e che quindi il serbarla a più lungo tempo serve bensì a minorare in essa l'acqua soverchia, mediante l'ulteriore suo appassimento, ma non già ad accrescere la parte zuccherosa colla trasmutazione dell'acido dolcificato[4].

            In conseguenza di questa rimarcata verità, anziché riserbar l'uva per un'intera invernata, il che porta seco di necessità la perdita di tanti granelli, che vanno a male, e la noja, e la spesa, e la briga, e l'impaccio nel tenerla in governo; al termine poc'anzi riferito la feci pigliare, e vi aggiunsi quella piccola dose di zucchero, ch'era necessaria per fare acquistare al mosto tutta la sua forza[5]. Con questo temperamento ho ottenuto un vino della medesima squisitezza, e di un terzo più abbondante[6], di quello che altre volte ho conseguito con la stessa quantità e qualità di uva riserbata fino a Pasqua. L'ottima riuscita di questa prova m'invitò a ritentarla più volte, e sempre col medesimo felice riuscimento: sicché fra tutti i metodi, onde correggere i difetti del mosto, questo è quello, che per ogni riguardo [sem]bra dover essere anteposto. Può accadere talvolta, e accade in realtà, che il mosto abbondi di soverchio di materia zuccherosa; allora l'acido inceppato, e molto diviso non può agire, che a pochi punti di contatto, la fermentazione riesce lentissima, il vino si conserva dolce per lungo tempo, e rimane deficiente di spirito e di vigore. Il miglior modo di supplire a questo difetto si è quello di aggiungere al mosto troppo zuccheroso una conveniente dose di tartaro, di quel principio eccitatore della fermentazione, il quale mediante la presenza dello zucchero viene agevolmente disciolto, e quindi reso atto a dare impulso all'azione deflogisticante, e a cambiare tutto lo zucchero in ispirito ardente. Una dose proporzionata sembra essere quella di una libbra di tartaro per ogni 28 libbre di zucchero, che si trovi nel mosto.

ARTICOLO IV.
Come debba dirigersi il lavoro della fermentazione vinosa.

            Giunto alla maniera di dirigere con industria il lavoro della fermentazione vinosa, faccio qui punto, e richiamo alla mente il sublime progetto della Reale Accademia di Firenze. Trattasi nulla meno che d'imprimere al vino un carattere di tal robustezza, che il renda inalterabile a tutte le vicende avvenire. Esamino quindi le particolari istruzioni, che dietro la scorta delle mie esperienze ho finora insinuate, e le trovo di un sommo rilievo. Hanno elleno principalmente per oggetto di accrescere in tutti i modi possibili la parte zuccherosa del mosto[7] per far risultare un vino, che sia riccamente fornito di spirito ardente: pregio essenzialissimo, ma che tuttavia non basta; mentre osserviamo tutto giorno, che tra i vini anche i più spiritosi, molti non hanno il necessario vigore, onde resistere ad una lunga conservazione, e molto meno per essere consegnati al trasporto. Dunque, io conchiudo, tra le parti componenti il vino, oltre allo spirito ardente, vi dee essere introdotto un qualche altro principio, che senza punto cambiarne le qualità, o diminuirne il pregio, gli accresca forza, vigore, e spirito. Ma quale sarà mai questo nuovo principio, questo ente vittorioso atto a trionfar sovranamente di tutti gli ostacoli, e ad eludere gli sforzi di quelle cause prepotenti, che cercano imprimere in tutti i corpi i caratteri della dissoluzione, e della putrefazione? Qui si è appunto ove moltiplicai senza fine gli esperimenti, e le prove, risoluto di volere a tutto costo strappare il velo a' misteri della natura. Erami già noto, né v'ha a giorni nostri chi più lo ignori, svilupparsi nel tempo della fermentazione vinosa un fluido aeriforme, riconosciuto da' Fisici moderni sotto il nome di aria fissa, di gaz mefitico, ossia di gaz vinoso. Tuttoché occupato fra mille altri tentativi, non lasciai, che questo fluido si sottraesse all'attenzione delle mie ricerche; il richiamai ad un esame il più rigoroso; il sottoposi ad un minutissimo scandaglio, e a tutte le perquisizioni il trovai un potentissimo antisettico[8]. Da questo punto io mi sono assuefatto a riguardare un tal fluido, come il vincolo, ed il legame, che unisce, ed amalgama le parti costituenti de' corpi, e le preserva dal cadere in braccio alla dissoluzione, ed allo sfacello. Un felice presentimento mi annunziava, non  essere io gran fatto lontano dallo scuoprire il bramato ingrediente. In conformità di queste primarie idee, venni ad impregnare di aria fissa molte maniere di vino: indi consegnai parte di questi vini ad una lunga navigazione, e parte ne riposi in cantina; accoppiando sì a questi che a quelli altrettante dosi corrispondenti dei medesimi vini non areati. Il risultato fu, che i vini areati consegnati alla navigazione mi ritornarono, non solo perfettamente sani, ma forniti in oltre di quella risaltante qualità, che suole acquistare il vino navigante; e quelli di specie analoga, che non erano così preparati, gli ho ricevuti parte inacetiti, e parte corrotti. Tra i vini poi azzardati allo incerto avvenire, quelli, che furono impregnati di gas, sono sei anni, dacché vanno tuttavia aumentando in qualità, e perfezione: e gli altri della medesima indole, ma privi di aria fissa, nel secondo anno cominciarono a deteriorare, sicché alla metà del terzo non erano più atti a farne uso. L'ottima riuscita di questo esperimento m'incoraggì in seguito a rifarne le prove, e dopo una serie ben lunga di fatti chiari, evidenti, incontrastabili, ho potuto conoscere che il gaz vinoso, quel fluido invisibile, il quale per tanti secoli addietro seppe involarsi alla vista dell'occhio mortale e che anche in questi ultimi tempi da que' medesimi Fisici, che furono i primi a riconoscerlo, attese le micidiali sue qualità, cominciava ad esser riguardato con aborrimento, ed orrore, egli è desso il corroborante perfetto, il sovrano rimedio, e l'efficacissimo preservativo per la conservazione del vino[9]. Sicché possiamo riguardante da qui innanzi, come noi, un Teorema dimostrato dalla verità dei fatti, che quando il vino è abbondante di spirito ardente, ed è insieme saturato di aria fissa, ei si rende sicuramente abile al trasporto, e capace di una lunga conservazione.

            L'operazione d'impregnare di aria fissa il vino non è atta per verun modo a sgomentare la dappocaggine, e l'inerzia de' nostri villici. Ella appartiene a questo Articolo, e si esegue nell'atto stesso, che si sta regolando il lavoro della fermentazione vinosa. A questo effetto basta solo riporre il mosto a fermentare entro a dei recipienti, i quali abbiano al di sopra un'apertura moltissimo ristretta, cui si adatta anche una tavola a foggia di coperchio, con un peso, che la tenga bene assodata. In questa guisa i vapori flogistici, che si svolgono dal liquor fermentante, trovando impedito il loro adito, urtano sulla volta, e sulle interne pareti del tino, ribalzano indietro, si rimescolano al liquore, e gli conciliano tutta quella forza, e tutta quella robustezza, che da noi si desidera[10]. La concatenazione, e la serie delle mie ricerche mi guidò in oltre a rintracciare, se impregnando di aria fissa quel vino, il quale o non lo fu giammai, o per incuria venne a perderla, si possa farlo rimontare in una maniera atta alla sua conservazione, e gli effetti corrisposero alle mie brame. Col solito metodo, onde si suole render l'acqua artificialmente aereata, satollai d'aria fissa varj vini[11], i quali ripresero tosto quell'insigne vigore, di cui sarebbero rimasti perpetuamente privi, senza questo nuovo artifizio. Quello, che tuttavia ci rimane a sapere è, se in mancanza del gaz vinoso, di cui mi sono sempre servito ne' miei sperimenti, fosse egualmente atta a corroborare il vino anche l'aria fissa, che si sviluppa dalle terre carcarie, mediante l'acido vetriolico. I caratteri di rassomiglianza, che portano queste due fogge di aria fattizia, sembrano favorevolmente persuadercelo; ma per verificare questo punto con quello spirito di osservazione, che dissipa ogni ombra di dubbiezza, sarebbe convenuto istituire una serie di molte prove dirette, che non ho avuto finora né il tempo, né la volontà d'intraprendere, attesocché un tal modo non mi sembra molto conciliabile con que' riflessi economici, che in mezzo alle nostre ricerche non dobbiamo giammai lasciarci sfuggire di vista.

            Insistendo ora intorno al regolamento della fermentazione vinosa, rimarcheremo in primo luogo, che quanto più grande sarà il volume del liquor che fermenta, tanto più esattamente, e con maggior profitto verrà a compiersi un siffatto lavoro. L'azion fermentante, che risiede in ogni minima particella del liquore, se ne rimane languida, ed inefficace, quando questi elementi sono isolati, e disgiunti. Per aumentar questa forza è necessario, che l'industria accoppj insieme una gran quantità di queste fluttuanti molecule, che unisca in un solo corpo la virtù di queste masse disperse, che stabilisca fra esse un legame di comunicazione, ed in tal guisa rendendo più ampio il volume, diviene più efficace, ed energico il lavoro; il che in una maniera assai chiara, e precisa viene spiegando il celebratissimo Abate Rozier: La fluidité, dic'egli, le développement de l'air fixe, le mouvement, sont toujours en raison du volume de la masse. Il y aura donc plus de cobes, plus de collisions, plus d'atténuation des principes, plus de dissolutions, de combinaisons, et de recombinaisons; et par conséquent un mélange plus intime des principes, qui concourent à métamorphoser le moût en vin. De cette exacte combinaison, et dissolution résulte une plus belle couleur, plus d'amiabilité dans la liqueur, plus d'esprit ardent, et une plus longue durée[12].

            Niente in appresso di più decisivo quanto la rapidità, o la lentezza nei progressi della fermentazione. Allorché questa è troppo impetuosa, rimangono per entro al liquore delle concrezioni indigeste, la separazione delle parti più rozze resta imperfetta, i principj costituenti non si depurano, né si uniscono a dovere, ed il vino, per l'urto gagliardo, che ne riceve, facilmente trascorre alla fermentazione acida, e quindi alla putrescente. Il perché trattandosi di un mosto troppo abbondante di acido libero, o di acido tartaroso, dispostissimo quindi ad una fermentazione rapida, e violenta, è necessaria ogni diligenza, per frenare l'impeto furibondo. Ciò agevolmente si ottiene, o coll'aggiungere materia zuccherosa al mosto, o col far che fermenti, come dicevamo più sopra, entro a dei tini di una stretta apertura, e questa pur difesa con un coperchio. L'aria atmosferica avendo così meno libero accesso alla massa fermentante, vi deposita una minor quantità di materia calorifica, e la fermentazione si compie d'un passo più moderato, ed uniforme. In vista di tali riflessi sogliono alcuni far che il mosto fermenti entro a delle botti esattissimamente rinchiuse. Io mi opporrò a questo costume; accorderò anzi che in tal modo la fermentazione più lentamente si compia, e che il gaz, la parte spiritosa, l'olio essenziale, e tutti gli altri principj volatili vengano meno a dissiparsi: solo farò rimarcare, che a questa foggia il vino non riesce tanto confacente alla salute, come quando fermenta in vasi non tanto scrupolosamente otturati. Due avvertenze però si renderebbero necessarie, qualora adottar si volesse questo metodo: la prima di non riempire la botte, che solo a due terzi della sua capacità, per lasciar più punti di contatto tra il mosto, e l'aria atmosferica: l'altra di attorniar la botte con grossi cerchi di ferro, e di puntellarne il cocchiume per impedire, che il recipiente non iscoppj, come agevolmente potrebbe succedere.

            Compiuta la fermentazione tumultuosa, egli è questo il punto, che dee cogliersi per svinare. La principal mira, che ha in vista la natura nella grand'Opera della fermentazione vinosa, è la formazione dello spirito ardente: i mezzi, di cui ella si serve per conseguire un tal fine, sono la decomposizione del mosto, lo sviluppo del gaz, la separazione del flogisto, l'assottigliamento, e l'unione de' principj, d'onde trae la sua origine questo esser novello. Quindi errore massiccio sarebbe quello o d'interrompere il corso a queste operazioni, collo svinar prima che sieno compiute, o di lasciare in abbandono il liquor, che ne risulta, differendone il travaso oltre al prescritto termine. Quivi si scorge l'industria dello sperimentato Oenologista, nel saper cogliere questo punto decisivo. I segni caratteristici per conoscerlo sono la perfetta conversione del mosto in vino; lo sviluppo dell'aria fissa, che desiste in guisa da potervi ardere al di sopra una candela; le spaccature, e l'abbassamento del cappello, unitamente alla maggiore altezza del Termometro, immerso entro alla massa fermentante. La maniera più acconcia per isvinare è quella di trasferire il vino immediatamente entro al recipiente, ove deve conservarsi per mezzo di un sifone, ossia tubo recurvo: giacché col farlo passare, come universalmente si costuma, dal tino, ove ha fermentato, in un altro recipiente per via d'un getto gagliardo, e da questo poi con secchj, e con mastelli infonderlo nelle botti, ei viene a perdere il gaz, quel principio corroborante, che con tanta diligenza si è procurato d'introdurvi. Mercecché io accorderò, che l'unione di questo gaz col vino non sia una semplice, e mera interposizione di parti con parti, ma un'aderenza reale fra i principj di queste sue sostanze, pure forza è il confessare, che quest'aderenza non è delle più intime[13], e che bastano alcune piccole scosse, un moderato calore, ed anche la sola esposizione del vino all'aria libera, per fare che il gaz se ne separi.

            Prima di travasare il vino è necessario purgare ben bene le botti, ove si ha da riporre, levando via il tartaro, e le altre fecce, che fossero attaccate alle loro interne pareti; indi risciacquarle con acqua, e poscia con vino bollente. Che se la botte avesse odor di muffa, o di altra simile infezione, quale sarà la maniera più opportuna per rimediarvi? Conviene prima sapere cosa sia la muffa. E' una vegetazione prodotta dalla fermentazione putrida, e la contraggono i vasi o per esservi stato infuso del vino infetto di muffa, o perché non essendo stati bene asciugati, si è in essi introdotta l'aria. Quindi per prestarvi opportuno rimedio è necessario infondere entro alle botti una sostanza capace di neutralizzare quest'olio fetido della putrida fermentazione, e renderlo mescibile a qualche dissolvente, che ne lo estragga. Il rimedio più sicuro, più efficace, e più conforme ai nostri desiderj, e che io stesso ho sperimentato di ottima riuscita, è quello, che vien suggerito dal Signor D. Andrea de' Carli. Si lavano prima più volte le botti con acqua bollente, dappoi vi s'infondono da dieci, in dodici libbre di calce viva, e recente, per ogni botte di misura, versandovi dell'acqua in proporzione. Si chiude in seguito la botte, si agita, e si rimuove di quando in quando; dopo uno, o due giorni si versa la calce, si lava di nuovo la botte prima con acqua, indi con vino bollente; ed in tal guisa rimane libera dalla muffa[14]. Per togliere poi alle botti il così detto sapor di legno, altro non si richiede, che lavarle semplicemente con acqua per otto, o dieci giorni di seguito, cambiando ogni giorno l'acqua; e poscia per altri tre, o quattro giorni infondervi del vino anche d'inferior qualità.


ARTICOLO V.
Diligenza nel custodire il vino.

            Eseguite queste operazioni, e travasato il vino, la natura imprende a perfezionarlo col prolungato lavoro d'una fermentazione, che noi abbiamo distinta col nome di fermentazione placida; il cui periodo varia in una maniera la più incostante: mercecché se ne' vini ordinarj ella si compie a capo di alcuni mesi, ne' vini prescelti continua i due, i quattro, e fin anche i cinque anni. Durante questo periodo, altro a noi non rimane se non se di custodire diligentemente il vino. Si ripongono le botti, o quale altro ne sia il recipiente, in una cantina fresca, ed asciutta, lontana da siti immondi, da letamaj, da cloache, da stalle, e da simili altre cose lezzose, e puzzolenti. Deonsi mantenere altresì del tutto insieme, e perfettamente chiuse. Ma sopra tutto richiedesi l'attenzione di assicurarle in maniera, che sieno esenti dalle agitazioni[15], e da qualunque altra scossa violenta. A questo fine gioverà, che la cantina sia discosta dalle strade comunali; mercecché gli scuotimenti delle vetture, e dei carri, oltre al produrre la separazione del gaz, sono causa altresì, che le parti fecciose, le quali andavano lentamente deponendosi, tornano a rimescolarsi col liquore, s'interpongono all'intimo legame de' suoi principi, ed il vino così disciolto comincia a filare, ch'è il primo passo per inoltrarsi alla corruzione[16]; il che specialmente succede a' vini de' terreni grassi, o fatti con uve in parte marcite.

            Potrebbe qui nascere il dubbio, se durante il corso di questa placida fermentazione, si debba di nuovo travasare il vino, come vien praticato da molti in alcuni Paesi d'Italia. Al che ho l'onore di rispondere, esser regola generale, e costante di non dover mai interrompere il lavoro della fermentazione vinosa, e quindi travasato il vino nell'atto che sta passando dalla tumultuosa alla placida fermentazione, non dover essere più rimosso, finché questo secondo corso non sia esso pure compiuto; e ciò, tra le altre ragioni, anche pel motivo, che le fecce deposte, essendo imbevute dei medesimi principj, di cui lo è il vino, formano un sedimento opportuno, che va somministrando al liquore la parte più pura, onde ristorar, le sue perdite. Contuttociò se si temessero degli inevitabili scuotimenti, che avessero a sconvolgere, ed agitare il placido lavoro di questa fermentazione, meglio sarebbe, per evitare ogni pericolo, il travasarlo di nuovo.

            L'indizio più sicuro, e più certo per giudicare, che la fermentazione placida è giunta al suo termine, è quando il vino apparisce del tutto limpido, e chiaro, come la ragione stessa cel persuade[17]. Allora, si travasa di nuovo, servendosi già dell'indicato mezzo del sifone, e si ripone in una cantina fresca, con l'avvertenza, che i recipienti sieno pieni, ed esattamente chiusi, nel quale stato dee essere conservato fino al tempo di servirsene. Pure qualunque ne sia il motivo, succede talvolta, che anche compiuto questo secondo corso, il vino si mantiene tuttavia torbido, e feccioso, nel qual caso è necessario chiarirlo artificialmente nella maniera che segue. Si prenda un'oncia di bella colla di pesce[18], indi grossamente contusa a colpi di martello, si faccia bollire in una pinta di acqua. Quando è ben disciolta, si levi dal fuoco, si lasci raffreddare, e diverrà come una specie di gelatina. Prendasi una porzione di questa gelatina, e posta in un cantino, vi si mescoli una discreta dose di zucchero purificato, e versandovi sopra un po' di vino, si agiti con una spazzola, finché tutta la mistura si risolva in ischiuma. Si getti in seguito questa schiuma entro al vino, che si vuol chiarire, mescolandola alcun poco per far che s'incorpori: ed in capo a qualche giorno il vino si troverà chiarito. Unendosi questa sostanza viscosa alla fecce, e alle minime lordure fluttuanti per entro al vino, forma con esse una massa specificatamente più grave, la quale attraversando tutto il liquore, se ne va al fondo, traendo seco tutte le parti eterogenee, che incontra per viaggio.

ARTICOLO VI.
Metodo di concentrare il Vino, ed epilogo di tutta l'opera.

            Trattando più sopra della maniera di correggere il mosto, ho divisati i mezzi più acconci, ed opportuni, onde diminuire la soverchia quantità dell'acqua: ma in difetto di questi mezzi, e dappoiché il vino ha fermentato, ci sarà poi levata ogni speranza di poter fugare questo elemento contaminatore, ch'entra ad infettare i scelti liquori delle nostre mense? Mainò, Saggi Accademici; mentre ci rimane tuttavia un altro espediente da mettere in pratica, quando meglio ci torni, e che più volte io stesso ho felicemente eseguito. Questo mezzo consiste nell'esporre il vino alla congelazione. L'acqua superflua si agghiaccia; il vino si concentra, il liquor si restringe; e le sue parti componenti formano tra loro un tal legame, ed acquistano siffatta energia, che pel seguito di molti anni non hanno più a temere gl'insulti feroci della corruzione. In una notte invernale, in cui il freddo era ad otto gradi sotto lo zero di Réaumur, esposi all'aperto quattro pinte di ottimo vino di Cipri; e nel seguente giorno si trovò ridotto in un ammasso d'infiniti diacciuoli. Per mezzo della semplice inclinazione del vaso feci sgocciolare in altro recipiente il liquor concentrato, il quale si ridusse ad una pinta, cioè ad un solo quarto del suo primiero volume; e la parte gelata rimasta al di sopra era acqua insipida. Il vino così ristretto acquistò una qualità sì eccellente, che tutti coloro, cui il feci assaggiare, protestarono di non aver giammai gustato il simile. Moltissime altre volte ho replicate queste prove con vini di varie specie, di diversa qualità, e sotto differenti gradi di freddo, e n'ottenni sempre a proporzione i medesimi risultati. Non niego, che per eseguire in grande un siffatto lavoro, non sieno per incontrarsi molte difficoltà; ma l'uomo saggio, e diligente non dee sì di leggieri lasciarsi atterrire. L'ostacolo maggiore, ch'io vi rimarchi, è quello, che agghiacciandosi il vino, perde tutto il suo gaz, e quantunque in forza della sola concentrazione si renda il vino capace di esser lungamente conservato, pure non essendo ancora deciso, se sia atto egualmente anche al trasporto[19], perciò cosa più sicura sarebbe l'impregnarlo di nuovo a costo delle difficoltà, che trae seco tale operazione[20].

            Ed eccovi compiute, vorrei credere, le viste luminose, ed appagati gl'interessanti oggetti di questo rilevantissimo Programma. Partendo dai risultati, che mi diede la chimica analisi del mosto, e del vino, seguendo la scorta dell'esperienza, che trascelsi per mia unica guida, e maestra, m'inoltrai a scuoprire l'intrecciato lavoro della fermentazione vinosa; ne ho divisati i mezzi, e le cause, ne ho accennati gli ostacoli; ne ho distinti i fenomeni: il che tutto richiedeasi per istabilire una teoria, che fosse appoggiata sul fatto, atta quindi a trarne delle utili conseguenze per la pratica. Richiamai inoltre all'esame il soggetto della medesima fermentazione, ove estesi le mie ricerche sulla natura, e sulla varia posizione de' terreni, sul carattere dell'uva, e sulla tempera particolar del mosto, ad oggetto di formare un criterio, che fosse adatto allo scarso intendimento de' rozzi abitatori delle campagne, onde facilmente giudicar delle buone, o ree qualità del mosto. Ho suggeriti in fine i mezzi più acconci, ed opportuni per migliorare il prodotto della fermentazione, seguendo i quali, relativamente ad ogni specie di mosto, abbia a risultare un vino dotato delle migliori qualità, e in particolare di quella di essere atto al trasporto, e capace di una lunga conservazione. Nella perquisizione di questi gravi oggetti io mi sono eretto un altare di nubi sistematiche, innanzi al quale debba ciascuno immolar ciecamente il proprio giudizio: una pretensione sì irritante non avrà mai luogo fra' miei pensieri. Solo dopo lunghe, e profonde meditazioni ho cercato nella natura una guida, e sull'infallibile piano di lei ho determinato di stabilire il mio: ho consultata questa antica maestra, né mi sono dipartito dall'ordine, ch'ella serba, nel progressivo sviluppo delle sue produzioni. Io lascio pertanto al finissimo discernimento del Pubblico imparziale la discussione de' miei principj, il rifiuto, o la difesa delle mie idee, il premio, o la pena de' miei travagli.

            Sicché altro a me non rimane, se non rivolgermi agli augusti Padri della rinomatissima Assemblea, ai Membri illustri, che compongono la Reale Economica Società de' Georgofili di Firenze, e colmo del grande oggetto, che mi penetra, supplicarli a far sì, che per mezzo loro si diffondano a comune vantaggio le pratiche insinuazioni, che a fronda delle benefiche loro mire, mi sono industriato di esporre nel decorso di questa Memoria. Voi sì, Accademici sapientissimi, voi che siete i Genj benefici della Nazione, i numi tutelari della Patria, i giudici, i difensori, i custodi, che vegliano del continuo sopra le comuni indigenze; voi, che con sì saggio avvedimento proponeste la discussione di un punto, che dee colpire ogni spirito attento, siate voi altresì il modello, l'esemplare, e la norma, onde rivolgere a pro dell'umanità il frutto de' luminosi vostri progetti: ispirate nel cuor de' vostri simili quel felice entusiasmo, quell'ebbrietà del bene, quell'intrepido coraggio, che trionfa di tutti gli ostacoli, e senza cui nulla di nobile, di sublime, di grande giammai non si concepisce fra gli uomini, né si trae ad effetto. L'error grossolano, ed il vecchio pregiudizio, che tenta sfigurar tuttavia la prima, e la più utile fra tutte le Arti, rimarrà una volta depresso; ed in vista dell'autorevole vostro esempio rifiorir vedremo questo ramo interessante di Agricoltura, e di commercio, che forma oggimai l'oggetto delle profonde speculazioni de' Fisici, e che richiama perfino a se i pensieri, e gli sguardi politici del Gabinetto, e del Trono.

            La Real Società Economica di Firenze ossia De' Georgofili per gli anni 1785-1786 propose il seguente tema: “Trovare la fisica teoria della Fermentazione Vinosa, appoggiata all'analisi del liquore fermentabile, e confermata con l'esperienza: trovare un criterio facile, adattato all'intendimento delle genti di Campagna, per cui giudicare delle qualità del mosto: indicare i mezzi di applicare i suggerimenti della teoria alla pratica in ogni circostanza, onde risulti, relativamente all'indole d'ogni specie di mosto, secondoché è costituito di conosciute quantità di principj, un vino dotato delle migliori qualità, e specialmente di quella di essere atto al trasporto, e capace di lunga conservazione.”
            Riportò il premio il Sig. Adamo Fabbroni, e l'onore dell'Accessit il P. Gio. Batista da S. Martino, Predicator Cappuccino di Vicenza.

            Lo stesso Fabbroni in Dell'arte di fare il vino, Firenze 1790 presso Jacopo Grazioli, Edizione Seconda ampliata dall'Autore sulla prima Edizione premiata dalla R. Accademia Economica di Firenze, alle pag. 269-272 scrive:

TEORIA DEL PADRE GIO. BATISTA DA S. MARTINO

            Molto mancherei alla giustizia, e fors'anco alla aspettativa del Pubblico, se avendo qui intrapreso di esporre una idea delle altrui più recenti e migliori Teorie, io non dessi onorato luogo anco a quella dell'abilissimo Filosofo Padre Gio. Battista da S. Martino, che la nostra R. Accademia qualificò con l'accessit unicamente perché non avea che un sol premio da dispensare.
            Precede al ragionamento una analisi comparativa del Mosto, e del Vino nei resultati seguenti[21].


Analisi del Mosto
Da once 52 di Mosto risultò.
Aria fissa
pollici cub.
604
Aria infiam.
pollici cub.
16
Olio essenziale alcune gocce

Once
Dr.
gr.
Acqua
41
4
0
Acido estrattivo
0
0
12
Terra
0
1
47
Alcali fisso
0
0
12
Parte zuccherosa
2
3
20
Acido di zucchero
0
1
20






Analisi del Vino
Da once 52 di Vino risultò
Aria fissa
pollici cub.
180
Olio essenziale, alcune gocce

Once
Dr.
gr.
Acqua
45
4
20
Terra
0
0
38
Alcali fisso
0
0
5
Spirito ardente
2
5
40


            (pag. 20) La parte Zuccherosa del Mosto è la vera unica materia della fermentazione, la sola che sia atta a cambiarsi in spirito ardente.
            (p. 24) L'acqua è necessaria alla fermentazione, perché segrega i principj solidi del mosto, e snerva l'adesione dell'acido col flogisto; e necessario non meno è il contatto dell'aria atmosferica, senza del quale (asserisce l'Autore) che non si dà fermentazione.
            (p. 30) È necessario pure il Calore dell'atmosfera acciocché l'aria comune possa assorbire il flogisto in quella porzione che è necessaria per dare impulso al moto fermentativo. Ma ancorché lo Zucchero (p. 33) sia diluito in sufficiente dose d'acqua; ancorché posto a contatto con l'Aria respirabile, ed animato da sufficiente grado di Calore, non giunge a concepire il moto della fermentazione.
           (p. 35) Il Tartaro è un principio essenzialissimo a tale effetto. E l'Autor crede che sia il tartaro come tale, e non già la sua base Alcalina, o l'acido suo essenziale.

            Sin qui è l'esposizione dei principj: sentiamo adesso la Teoria.

            Disgregato mediante l'acqua il flogisto e l'acido costituenti lo Zucchero; animata l'atmosfera soprincumbente da sufficiente calore; questa attrae flogisto dalla massa del liquore (p. 42), se ne imbeve, si cangia in aria fissa (p. 43), e versa in quell'atto un torrente di calore in seno al sottoposto fluido[22].
            (p. 46) E nell'atto che la porzione più rozza del flogisto si sbarazza poco a poco dal mescuglio delle altre sostanze, l'altra più desecata, e più pura si stringe all'acido dello Zucchero: le parti terrose, la mucillaggine, la materia colorante, e tutti gli altri elementi agitati incessantemente, e ravvolti, si sbrigano dalla interposizione delle parti più immonde; ed in seguito alla loro dissoluzione si uniscono in una maniera atta a costituir quell'ente novello, i cui caratteri sono affatto diversi da quelli del fluido primiero.
            Segue a questa fermentazione tumultuosa una fermentazione insensibile, nella quale il residuo della materia Zuccherosa va lentamente cambiandosi in spirito ardente[23]; l'acido si separa dagli altri principj, e costituisce il Tartaro, che con le altre fecci si depone.


[1]    Sembra chiara la ragione, per cui il vino fatto col mosto, dal quale si è fatta evaporare l'acqua col mezzo del fuoco, sia facile a corrompersi. Oltre all'abbondare i mosti di acqua soverchia, hanno per lo più anche la disavventura di essere copiosi di acido libero, specialmente quando le uve non sono perfettamente mature. Ora la rapida evaporazione toglie bensì al mosto l'acqua superflua, ma non gli separa l'acido, per essere meno volatile dell'acqua; il perché la molta copia di questo acido serve di prossima disposizione per spingere il vino alla corruzione; a quella guisa che un mosto sovraccarico di tartaro è molto disposto ad inacetire.
[2]    So, che da molti vien trascurata questa diligenza, mentre pigiano cogli acini sani anche i putridi; ma so altresì, che il loro vino possiede ben tutt'altra qualità, fuorché quella di essere atto al trasporto.
[3]    La quantità dello zucchero, del miele, o di altra simile materia da aggiungersi al mosto, non si restringe ad una dose determinata; ella dee variare a norma della qualità del mosto medesimo; quanto più sarà abbondante tanto migliore si renderà il liquore, e quindi il vino, che ne dee risultare. Basta, che il mosto serbi quella tal data fluidità, ch'è necessaria alla fermentazione, e che a prima vista pienamente si conosce da chi è esercitato in quest'arte.
[4]    Quando si voglia, si può anche abbreviare questa dimora di due mesi. Ciò si ottiene o col distendere l'uva per alquanti giorni al sol cocente, o col riporla entro a dei forni mediocremente riscaldati, come si costuma con l'uva del Tokai!
[5]    Quando l'uva è stata per due mesi in riposo, non si ricerca, che la sola metà di zucchero, che esigerrebbesi allorché fosse appena colta dalla vite.
[6]    La maggior abbondanza dl vino, che si ottiene con questo metodo deriva da due fonti: dal risparmio di que' granelli, che non vanno a male, e dal liquore più abbondante, che rende l'uva non tanto appassita; purché sia questo corretto collo zucchero.
[7]    Questa parte zuccherosa per altro dee sempre essere proporzionata alla quantità dell'acido, come abbiam più sopra avvertito, altrimenti non si cambierebbe che in parte in ispirito ardente.
[8]    Si sa, che l'aria fissa ha la facoltà di preservar dalla corruzione queste sostanze, dalle quali viene assorbita. Di ciò ne abbiamo una prova risplendente dal vederla con profitto impiegata nelle febbri putride, nelle ulcere, e nelle piaghe marciose, ne' corrotti infarcimenti delle prime vie, ed in altre simili infermità del genere putrescente.
[9]    Dopo d'avere ideato, e sperimentato questo rimedio, mi occorse di vedere annunziato in un foglio letterario, che anche in Francia fu riconosciuto l'ottimo effetto, che produce il gaz vinoso, quando venga assorbito dal vino. Io ignoro pienamente il metodo, le prove, ed i risultati dell'Autore francese; siccome egli dee per egual modo ignorare quanto fu da me tentato, ed eseguito, non avendolo io mai da sei anni a questa parte comunicato ad alcuno. Non sarà questa la prima tra le invenzioni fatte da più persone lontane, senza che l'una ne sappia punto dell'altra. E supposta per vera una tal combinazione, servirà essa a rendere vie più evidente la verità, che ora propongo.
[10]  Il vigore, e la forza, che acquista il vino fermentando ne' recipienti così ricoperti, potrebbe dipendere non solo dall'intromissione del fluido antisettico, ma anche dal rimanere impedita la dissipazione delle parti spiritose, ed aromatiche, che verrebbero a disperdersi, allorché il liquore fermentasse ne' tini d'una larga apertura.
[11]  Una delle necessarie avvertenze, che bisogna avere nell'impregnar d'aria fissa il vino, fuori del tempo della fermentazione, è di eseguir questo lavoro in un ambiente il meno caldo, che sia possibile. Quanto più freddo è il liquore, tanto maggior copia di gaz si rende atto ad assorbire. Al freddo di due gradi sopra il gelo il vino mi assorbì un volume di gaz uguale al suo.
[12]  Cours compl d'Agricolt. Tom, 4 art. Fermentation [Rozier François, Cours complet d'Agriculture théorique, pratique, économique et de médecine rurale et vétérinaire ou DICTIONNAIRE UNIVERSEL D'AGRICULTURE, Tomo 4 articolo Fermentation].
[13]  Non solo tra il vino, ed il gaz vi s'interpone un'aderenza assai leggiera, ma eziandio tra i principj stessi del liquore; né è che ad un tempo assai prolungato, cui si debba un'unione più consistente, e più intima tra questi principj.
[14]  Alcuni hanno tentato di porre in discredito questo rimedio; ma essendomi io presa la briga di esaminare il metodo da questi tali praticato, trovai, che non l'aveano eseguito a dovere. In questa guisa vengono talor riprovate come inefficaci tante utili invenzioni, quando tutta la colpa dee rifondere nella imperizia, e nella poca esattezza di chi non sa eseguire.
[15]  Egli è tanto essenziale il difendere il vino dagli scuotimenti, che io imitando la bella esperienza di Homberigo, sono giunto a cambiare con la sola agitazione del vino in ottimo aceto.
[16]  Questa è la ragione, per cui i tuoni gagliardi fanno guastare i vini.
[17]  Quantunque la fermentazione placida non sia diversa dalla tumultuosa, ma una continuazione, ed un compimento di essa; pure hanno un carattere diverso, che le distingue. La fermentazione tumultuosa spinge in alto le parti eterogenee, ove si forma la crosta, ossia il cappello; e perciò si chiama fermentazione in alto: per l'opposto la fermentazione placida lascia cadere al fondo le parti impure, onde vien detta fermentazione al basso. Ora siccome quando le parti grossolane cessano di più alzarsi, è segno, che la fermentazione tumultuosa è compiuta; così quando desiste la deposizion delle fecce, ed il vino rimane chiaro, è indizio, che la fermentazione placida è ormai giunta al suo termine.
[18]  In vece della colla di pesce si può adoperare anche la chiara d'uovo.
[19]  Per assicurarsi decisivamente, che il vino concentrato col gelo, tuttoché privo di gaz, sia atto al trasporto, come lo è di una lunga conservazione, sarebbe stato d'uopo istituirne delle prove, e degli esperimenti diretti, consegnando il liquore a delle navigazioni, e a dei lunghi carriaggi: il che per mancanza di tempo, e di opportuna occasione non ho potuto finora eseguire.
[20]  Quantunque il Sig. Bucquet asserisca, che il vino concentrato non può conservarsi lungamente, e che presto diventa aceto; pure questo è un fatto; io conservo tuttavia del vino ridotto sei anni sono ad un terzo del suo primiero volume per mezzo della concentrazione, senza che dia il minimo indizio di voler inacetire.
[21]  In tutte e due le Tabelle il Fabbroni omette la riga relativa al Tartaro, che per il Mosto è di Dr. 1 e per il Vino è gr. 6. [N.d.R.]
[22]  Tale fu pure il sentimento del D. Bussani, che appresso a poco nei sentimenti istessi sviluppa la sua Teoria.
[23]  Il Vino vecchio dovrebbe dar maggior dose di spirito di Vino se così fosse, e ne dà meno.

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