venerdì 13 luglio 2012

MEMORIA
Intorno ai metodi migliori
di fare e di conservare i vini
premiata dalla Società Patriotica di Milano l'anno 1789.*


(Opere del Padre Giovambattista da S. Martino Lettor Cappuccino, Tomo Terzo, Venezia 1795, pag. 3-152)

Caecubum et prelo domitam Caleno
Tu bibes uvam.**
Horat. Lib. I ode 20


            Finché visse l'uomo ne' secoli, non so se chiamarli io mi debba felici, della imbecillità e della ignoranza; finché l'arte corrompitrice de' cibi e delle bevande era tuttavia sconosciuta nel mondo; finché poche idee visuali, acustiche, di olfatto, e di gusto bastavano alla tranquilla esistenza degli esseri della nostra spezie; finché la filosofia non avea ancora chiamato l'uomo alla perfetta vita sociale, ad oggetto di ammollirne la scorza selvaggia, e renderlo atto a più grate e numerose sensazioni; crescendo egli coll'istinto di soddisfare a soli fisici bisogni, i quali non si offrivano che per intervalli, immobile per lo più nel punto, ove era nato, cercava tra i prodotti del suolo il proprio alimento, e facea ricorso alla fonte, allorché il bisogno ne lo spingea, per estinguere gli ardori della propria sete. Se non se rimanendo a soli misantropi la nobile impresa d'imitare le bestie che vanno errando per le foreste, divennero gli uomini sempre più familiari a se stessi ed in seguito alla collisione e all'accopiamento de' loro pensieri; acquistarono le loro idee combinate un maggior grado di attività e di vigore; moltiplicaronsi senza fine i bisogni della vita, crebbero a dismisura le proprie necessità, i comodi si rendettero ognora più indispensabili, le scelte bevande salirono alla più alta riputazione, ed usando ciascuno della propria industria, si diede a disporre i materiali che sortono dalle mani della Natura, per trarne quel liquor fermentato che forma oggimai l'oggetto delle universali ricerche.

            Quindi l'entusiasmo e l'ardore di estendere, quanto mai fosse possibile, la coltivazione delle viti a qualunque distanza dall'Equatore; quindi le sollecitudini indefesse intorno alla maniera più acconcia e più propria di fare i vini; quindi l'impegno degli abitatori di gelati climi del Nord nel cercar di supplire al difetto de' mosti, colla sostituzione della cerevisia, della birra, del sidro, e d'altretali fermentate bevande. Non per tanto, convien dirlo a nostro disinganno, da per tutto in oggi si fanno dei vini; ma la maniera di farli a dovere è comunemente ignorata; quelli, che sono destinati a questo importante lavoro, non sieguono alcuna regola determinata e costante; operano per lo più a caso, e talvolta eziandio contro il vero metodo dalla Natura prescritto. Da ciò ne deriva che presso noi non sono i vini in quel pregio cui, mediante una più seria e studiata diligenza, potrebbero ascendere; in tutti gli anni una gran parte se ne corrompe e si guasta; molti non reggono alla navigazione e al trasporto; e se in alcuni luoghi giungono a qualche grado di squisitezza, generalmente parlando noi possiam dire, che ciò sia dovuto più all'azzardo che all'esattezza del metodo.

Uva bianca

            Persuasa di questo fatto la Società Patriotica di Milano, quella Società che forma uno degli ornamenti primarj della nostra Italia, riflettendo che il miglioramento dei vini della Lombardia Austriaca può divenire un oggetto di grande importanza per la nazionale prosperità, propose alla pubblica discussione il seguente rilevantissimo argomento. “Quali sono i metodi migliori e più adatti alle varie circostanze della Lombardia Austriaca di fare i vini, e conservarli, cominciando dalla vendemmia fino al tempo di beverli”. La questione mi anima per la sua utilità, e per l'ampiezza del beneficio che ci lascia sperare. Tutta la Nazione può sentirne interesse. Io m'arrischio di tentarne la soluzione, persuaso che, appianata a dovere; indurrà un pacifico e salutevole cambiamento tra gli erronei sistemi finora adottati intorno alla pratica di perfezionare i vini. Dividerò in due parti, a norma dell'esposto Programma, la presente Memoria. Dimostrerò nella prima quale sia il metodo migliore di fare i vini della Lombardia Austriaca; addiserò nella seconda le diligenze che si richiedono, dopo essere stati fatti, per conservarli in buono stato fino al tempo di beverli. La corona, quell'ornamento destinato sempre al merito, all'acutezza, al valore degli Scrittori più celebri, non formerà questa volta lo scopo de' miei travagli: impiegarmi in utili ricerche: ecco l'unica mia gloria. Sarò conciso, per non divenire nojoso; esporrò solamente quello che l'esperienza mi avrà adittato; mi farò un dovere di rendermi intelligibile, col togliere ogni aria di elevatezza alle mie pratiche istruzioni, e col presentarle agli uomini cui devono servire, abbassate al livello della loro capacità.


PARTE PRIMA.
Intorno ai metodi migliori di fare i Vini della Lombardia Austriaca.

            Egli è un linguaggio nato fra le tenebre del dispotismo e della barbarie il dire che, in mezzo alle regolatissime operazioni della Natura, il lavoro dei vini non esiga veruna cognizione, e che basti spremere dell'uva, perché il mosto se ne converta da se stesso in vino. La manifattura di questo liquore è un'arte: quest'arte, al pari di qualunque altra, possiede le sue teorie, ed ha le sue regole, i suoi principj, appoggiati alla Fisica ed alla Chimica: l'esperto Oenologista dev'essere al fatto almeno de' principali precetti di quest'arte, per non esporsi a pericolo di cadere ad ogni passo in errore, e per non commettere degli enormissimi sbagli nella esecuzione, e nella pratica del suo ministero. Prima dunque di entrare in un minuto dettaglio delle particolari operazioni che esige la fabbrica de' vini, prima d'immergersi in un caos, ove la materia è confusa; ed ove gli oggetti sono sì moltiplicati, e sì varj, che ci è bisogno di tutta la forza del metodo per non rimanerne imbarazzati, comincieremo dal premettere la notizia de' principj costituenti il mosto; passeremo indi a rimarcare la differenza di questi medesimi principj indotti dalle locali circostanze de' paesi; entreremo ad esaminare l'influenza del clima Milanese sulla formazione del mosto; e di là scenderemo a prescrivere i metodi, che a norma delle notate circostanze giudicheremo i migliori per la perfezione di questo interessante lavoro.


ARTICOLO PRIMO.
De' principj costituenti il mosto.

            Dalla serie di molte e molte sperienze, che per varj anni ho istituite sopra diverse qualità de' mosti, ho ricavato, che i prossimj principj di questo liquore sono l'acqua, l'acido libero, il tartaro, la mucilaggine, la sostanza fibrosa, la materia resinoso-colorante, lo zucchero, e lo spirito rettore[1]. Siffatti principj sono sempre fissi, e costanti; imperciocché quantunque cangino essi riguardo alla dose, secondo la diversa qualità de' mosti, pure costantemente vi si riscontrano, a differenza di qualche altro principio, che solo per accidente vi si scorge talvolta, e che non dee perciò riguardarsi come necessario alla formazione del vino; come sono il sal marino, l'alcali minerale muriatico, il sal di Glaubero*, e qualche altro estraneo elemento. Tutti i surriferiti principj costituiscono giusta il loro modo al lavoro della fermentazione vinosa; ma l'acqua, l'acido, e lo zucchero ne sono di una indispensabile ed assoluta necessità, talché, quando un solo ne venisse a mancare, non si otterrebbe più vino, siccome con l'analisi, e con la sintesi me ne sono appieno certificato. La fecola, la sostanza fibrosa, e la resina servono a dare maggiore impulso, o a rendere l'operazione più compiuta; e ciascuno degli altri principj vi ha una influenza gradatamente più rimota, quantunque l'unione ed il complesso di essi serva a costituire un vino dotato delle migliori qualità.

Uva nera

            L'acqua è il principio più abbondante del mosto che supera di molto l'unione di tutti gli altri elementi. Essa fa l'officio di dissolvente, serve di veicolo alla disgiunzione, e al successivo accoppiamento di molte parti, snerva la forte adesione degli altri principj, e li mette in istato di agire scambievolmente l'un verso l'altro, secondo le leggi della particolare loro affinità. Mediante la svaporazione, ho privato una quantità di mosto della sua acqua necessaria, riducendolo alla consistenza d'unguento: egli è nove anni dacché si conserva tuttavia nel medesimo stato, senza mai aver dato il minimo indizio di fermentazione, e tale si conserverà anche per nove bilustri, finché resti privo di acqua. Dopo sei anni ad una porzione di esso ho restituita una egual dose di acqua, che gli avea tolto, ed un mese appresso il trovai cambiato in ottimo vino.

            L'acido per entro al mosto vi si trova in due maniere diverse, cioè, sotto alla forma di acido onfacioso[2], e sotto a quella di acido tartaroso. Dopo le belle sperienze de' moderni Chimici non ci sembra più lecito di dover dubitare, che queste due maniere di acido non solo, ma altresì la medesima sostanza zuccherosa non sieno in prima origine la stessa, e medesima cosa diversamente modificata. Di fatti a giorni nostri resta pienamente dimostrato, che il sugo acerbo dell'uva nel primo stato della sua formazione è un composto d'idrogeno, e di carbonio portati ad un eminente grado di acidità da un eccesso di ossigeno. Ora ad una temperatura ordinaria, che non eccede di molto quella dell'acqua bollente, avendo l'ossigeno una grande affinità per unirsi al calorico, ed alla luce, e standosene la vite continuamente esposta alla effervescenza de' calori estivi, ed all'azione diretta de' raggi solari, ne siegue, che l'ossigeno, di cui se ne trovano sovraccarichi gli acini dell'uva tuttavia acerba, si va lentamente combinando col calorico libero e con la luce, dalla qual combinazione ne risulta quell'aria vitale, che producono le piante in tali circostanze. Nello stesso tempo a misura, che l'ossigeno va separandosi dall'uva, il sugo di lei perde gradatamente della sua acidità, diviene meno ruvido, e meno acerbo, e di acido onfacioso, ch'era prima, si cambia in acido tartaroso. Indi continuando sempre più l'influenza del calorico, e della luce, il tartaro rimane vie maggiormente spogliato del suo ossigeno, fino a convertirsi in un ossido vegetabile, quale si è appunto la sostanza zuccherosa dell'uva ridotta a maturità. Per rimanere sempre più convinto di questa interessante verità, ho ripetuta più volte la seguente sperienza, la quale mi sembra affatto decisiva. Presi quattro libbre di sugo acerbissimo spremuto da uve del tutto immature: altre quattro ne presi da uve mature solo per metà; ed un'eguale porzione da uve perfettamente mature. Collocati questi tre mosti diversi separatamente in altrettanti vasi, gli esposi ad una lenta svaporazione, servendomi anche de' reagenti opportuni[3]. Dopo l'operazione, dal primo liquore acerbo ottenni molto acido libero, senza punto né di tartaro, né di zucchero. Dal secondo ricavai del tartaro in copia con assai meno di acido svolto, ed una piccola quantità di zucchero. Dal terzo finalmente ho raccolto molto zucchero, con minor dose di tartaro, ed ancora meno di acido libero. Questa prova più volte ripetuta, e sempre co' medesimi risultati, serve a confermare, che la sostanza zuccherosa del mosto riconosce la sua origine dal tartaro, siccome il tartaro la riconosce dall'acido rude; e che tutta la diversità dipende dalla varia modificazione, e dal vario grado di dissosigenazione, che succede, mediante il magistero della vegetazione. Ora l'azione dell'acido, sia egli libero, sia tartaroso, si rende necessaria per dare impulso al lavoro della fermentazione vinosa. Già una porzione della sostanza zuccherosa viene ad ossigenarsi per formare l'acido carbonico; ora l'acido dell'onfacio, o l'acido del tartaro come meno intimamente combinati, sono i primi ad unirsi alla parte zuccherosa, e quindi a promuovere il processo della fermentazione; con la sola differenza, che l'acido onfacioso essendo più abbondante, e più libero, si scarica con maggior impeto sopra la sostanza zuccherosa, ed è quindi causa d'una fermentazione più precipitosa, e violenta; dovecché l'acido del tartaro essendo in minor dose, e più strettamente combinato alla sua base opera con più placidezza, ed il lavoro riesce più raffinato e perfetto.

Vigneto

            Quantunque l'aria, l'acido, e lo zucchero sieno i principj necessarj per effettuare l'opera della fermentazione vinosa; pure la parte fecolenta, la sostanza fibrosa, e la resina concorrono esse pure a rendere l'operazione più compita, e quindi più pregevole il vino, che ne risulta. In varie prove, che feci; separai dal mosto or l'uno, or l'altro di questi principj[4], ed un solo di essi, che ne venisse a mancare, o la fermentazione stentava a stabilirsi, o non si compiva a dovere, od il vino non era di quella qualità, che sarebbe stato altrimenti. Ma tosto che restituiva al mosto il suo principio, di cui l'avea privato, il tutto riusciva a perfezione. Segno evidente, che la Natura nulla opera in vano, e che il tutto contribuisce, ed è diretto al compimento de' suoi sublimi lavori. Per quanto io abbia potuto scoprire, la sostanza fibrosa, e la fecola sono que' principj co' quali l'acido si unisce di concerto per esercitare la sua forza verso la parte zuccherosa, d'onde poscia ne deriva lo sviluppo del gaz acido carbonico, e la formazione del vino. La resina è quel principio, che modera per l'ordinario l'impeto di una fermentazione troppo furibonda, e ad essa vanno quasi sempre uniti la materia colorante, e lo spirito rettore, dalla più o meno copia de' quali ne risulta o molto, o poco di odore, di fragranza, e di sapore al vino.

            Ora il principal fondamento dell'ottima riuscita de' vini consiste nella giusta proporzione di tutti questi principj, e tanto la scarsezza quanto la troppa abbondanza di alcuno di essi, specialmente de' più necessarj può nuocere di molto alla loro perfezione. Contuttociò il difetto più rimarcabile, che comunemente si riscontra in quasi tutti i mosti, almeno ne' paesi della nostra latitudine, consiste nell'eccesso de' principi abbietti, e nella penuria de' principj nobili. Principj abbieti io chiamo, l'acqua, l'acido, e la mucillagine; non perché la loro presenza non sia necessaria alla fermentazione vinosa; ma perché quel mosto il quale ne abbonda più del dovere, non produce, che un vino debole, acido, acquidoso, scipito, e facile a corrompersi[5]. Principj nobili possono a tutta ragione denominarli la resina, la materia colorante, lo spirito rettore, e con modo più speciale e distinto la sostanza zuccherosa. Imperciocché il vino, che risulta da un mosto riccamente fornito di questi principj, riesce fragrante, spiritoso, robusto, e capace di essere lungamente conservato.


ARTICOLO II.
Della variazione de' principj del mosto
relativamente ai terreni, e ad altre locali circostanze.

            I principj del mosto sono ovunque gli stessi; ma infinite circostanze relative al clima, alla situazione, al terreno, all'aria, alla temperatura, alle stagioni, ai venti, e a simili altre particolarità concorrono a variarne la dose in una maniera la più irregolare, ed incostante. Un esame filosofico istituito sugli andamenti della vegetazione ci ha assicurati, che il mosto abbonda sempre di principj nobili, atti a produrre un vino eccellente, quando sia stato raccolto da terreni asciutti, leggieri, sabbiosi, calcari, di una esposizione soliva, che riguardi tra il Levante, ed il Meriggio, e specialmente quella delle colline d'un soave pendio. Il mosto, che si raccoglie da questi luoghi, è sempre ricco di materia zuccherosa. V'è abbondante l'olio essenziale aromatico, il quale, combinandosi colla resina, da essa è renduto meno volatile. A ciò infinitamente contribuisce ancora il clima caldo, o per lo meno temperato, e così pure le stagioni asciutte particolarmente nel tempo della maturazione dell'uva; dacché una maggior copia di ossigeno si separa in tali circostanze dal sugo dell'uva, ed il mosto in tal guisa rimane meno acerbo, e più riccamente fornito di principio zuccheroso.

Tino da mosto

            L'uomo che argomenta e riflette, dal confronto di quanto ho detto conoscerà, quali sieno quelle combinazioni, d'onde non si ottiene che un mosto d'inferior qualità, perché troppo carico di principj abbietti. Le terre grasse, fredde, cretose, quelle di un sito basso, umido, profondo, ove le acque vi ristagnano, ed imputridiscono, ove l'atmosfera è quasi sempre umida, ed ingombra di vapori e di nebbie, molto più se a ciò si combinino annate piovose, producono un mosto soverchiamente acquidoso, in cui l'acido libero vi rimane in tutta la sua piena esalazione, la mucilagine supera oltre il dovere[6], ed il liquore porta un carattere de' più triviali e comuni: esso se ne passa con somma rapidità dalla vinosa all'acida fermentazione, e quindi con un corso ancora più celere alla decomposizione alcalina alla putrefazione.

            Un'altra circostanza, forse dal volgo meno avverta, è cagione d'un considerabile deterioramento del mosto. Quest'è il tenere le viti, come si costuma ordinariamente da molti, appoggiate ad alberi viventi, affinché servano loro di sostegno e di rincalzo. Niente di più erroneo e di male concepito. Assorbono le piante quell'umore vitale, ch'era destinato al nutrimento della vite; le tolgono con l'espansione delle loro foglie il beneficio delle rugiade; e quel ch'è ancor peggio la privano dell'influenza della luce diretta de' raggi solari, tanto necessaria al meccanismo della vegetazione. Da ciò ne deriva un mosto poco elaborato, pregno di acido rude, e deficientissimo di materia zuccherosa; ed una prova convincente della verità, ch'io annuncio, è la seguente sperienza. Distillai tre libbre di vino raccolto da viti esposte in pieno aere, accomandate ad una palificata di secchi sostegni, ed ho ricavato oncie due, dramme due, grani quaranta di spirito rettificato. Distillai similmente tre altre libbre di vino della stessa qualità, ottenuto da viti della medesima specie, coltivate nel medesimo terreno, esposte alle medesime circostanze con la sola differenza, ch'erano sostenute da piante vive; ed ottenni solo oncie una, dramme quattro, grani cinque di spirito rettificato allo stesso grado. Evidente riprova del discapito sommo, che ne riceve il mosto dal seguire questo metodo[7].

ARTICOLO III.
Delle locali circostanze della Lombardia Austriaca,
e della loro influenza sulla qualità del mosto.

            Le individuali circostanze di un paese, o di un clima non distruggono le leggi universali e costanti della natura. Le stesso colpo di fucile, dice il dotto Zimmerman, ammazza egualmente sotto l'Equatore, che al di là da Circoli Polari. Il medesimo liquor fermentabile, quando i suoi principj sieno dosati alla stessa foggia, e quando vi concorrano le medesime richieste condizioni, può fermentare tanto perfettamente a Pekin, quanto nella Curlandia, o tra i confini della Palude Meotide. Ma siccome la diversità de' paesi induce una varia proporzione tra gli elementi del mosto, ed altera quelle circostanze, che devono accompagnare il corso della fermentazione, perciò le regole dell'arte vinaria, tuttoché fondate sopra principj invariabili, pure esigono una differente applicazione, e devono essere altrimenti modificate a norma delle sempre varie combinazioni. Quindi le provvide mire della Società Patriotica, la quale avendo appunto in veduta questa varia, e diversa applicazione, ha richiesto, che sieno additati i mezzi, non per fare i vini in generale, ma i vini della Lombardia Austriaca.

Mosto in fermentazione

            In coerenza a queste ponderatissime inchieste, noi dobbiamo rimarcare essere compreso il Ducato di Milano entro una vasta pianura, la cui elevazione è per un di presso duecento braccia sopra il livello del Mediterraneo. Per entro allo Stato vi sono poche montagne, scoscese prominenze, e colli; e di questi i più vicini sono quelli della Brianza, e del varesotto al Nord di Milano. Il terreno, generalmente parlando, è de' più fertili; e pochi sono i paesi in Europa, i quali, entro uno spazio eguale, producano tanta quantità di raccolto, che, malgrado la molto numerosa popolazione, sopravanzi l'interno consumo. Il lungo tempo piovoso, il numero de' giorni  nebbiosi e foschi, la quantità della pioggia, le nebbie dense ed umide di quasi tutto l'anno, le acque stagnanti presso molti villaggi, i venti freddi di autunno, e di marzo ci annunziano lo stato della costituzione meteorologica di questa ricca e doviziosa provincia. Non havvi possessore di un palmo di terra, che non cerchi di adacquarlo, di renderlo prato, o di convertirlo in risaja. Tutto il basso Milanese rappresenta un laberinto di canali e di fiumi, che corrono, che girano, che s'incrocicchiano per tutti i sensi. Il Lodigiano, ed il Pavese sono affatto irrigui, e pochi sono i mesi dell'anno, in cui la loro superficie non sia coperta dalle acque. La sola ispezione di questo piano topografico è sufficiente ad  assicurarci, che i mosti della Lombardia Austriaca devono necessariamente abbondare di principj abbietti, specialmente di acqua, e di acido disciolto, e poco elaborato, la cui ridondanza è tanto nociva, come quella che degrada al maggior segno il pregio, e la qualità dei vini. Se si eccettuino i contorni di Brianza, e del Varesotto, egli è ben raro vedere nel restante Milanese giugner l'uve ad uno stato di perfetta maturità, senza pasarsene tosto alla putrescenza, ed in modo distinto quando l'estate, e l'autunno non sieno molto asciutti. La vite, che sta vegetando in un terreno quasi sempre umido e talvolta paludoso, che tiene esposti i suoi tralci entro una grave atmosfera assiduamente pregna di acquei vapori, ch'è inzuppata da continue umorose meteore, non può a meno di non assorbire un incredibile quantità di questo fluido; l'acido tartaroso e sviluppato n'è il principio predominante, e quindi il difetto e la mancanza della tanto necessaria parte zuccherosa.

            Alle indicate cause corrispondono per nostra disavventura pienamente gli effetti, e la realità del fatto comprova quanto sia giusto il raziocinio. Una gran parte di questi vini sono acquidosi, snervati, di poco spirito: essi conservano una certa loro naturale acidità, che traggono dal mosto: molti sono aspri ed austeri, indizio del troppo tartaro che contengono: molti se ne vanno a male prima che compiasi l'anno, col cambiarsi in aceto, o col passarsene alla corruzione. Ecco dunque la essenziale imperfezione che generalmente si riscontra ne' mosti del Milanese; ed ecco lo scopo primario che dobbiamo prefiggerci nell'indagare il metodo migliore di fare i vini della Lombardia Austriaca. Tutte le nostre attenzioni devono esser dirette ad equilibrare i principj del mosto, a ridurli ad un giusto comparto, a scemare in essi la parte acquosa, l'acido, ed il tartaro, ad aumentare la dose de' principj nobili, ed in modo particolare della essenzialissima parte zuccherosa.


*    Nella motivazione si legge fra l'altro: “La sua dissertazione, riputata la meglio ragionata, come quella che dalle più sicure teorie e da' più decisivi sperimenti trae la pratica istruzione, avrebbe pienamente soddisfatto alle viste della Società, s'egli avesse meglio conosciute le terre, le uve, i metodi, le consuetudini, e le circostanze della manifattura del vino presso di noi, onde applicare i suoi giusti e luminosi principj a correggere i difetti de' vini nelle diverse situazioni della Lombardia nostra.
**  In casa tua tu berrai il Cecubo e l'uva pigiata col torchio caleno.” Orazio, Le Odi, Libro I, XX, 9-10.
[1]    Io non rammento qui che i principj prossimi del mosto, la sola cognizione de' quali è necessaria al fabbricatore de' vini. Del resto egli è certo, che ciascuno di questi è un composto di altri principi più semplici, come dall'analisi di ciascuno di essi si può facilmente comprendere.
*    Solfato di sodio decaidrato o sale di Glauber o sal mirabilis.
[2]    Acido Onfacioso deriva dal nome greco ομφακιων [ομφάκιος], Omphacium, che significa il sugo acerbo dell'uva, e delle altre frutta immature.
[3]    Il solo reagente, di cui feci uso, fu l'alcali, per separare l'acido sviluppato; operando nella maniera, che suggerirò appresso nell'Articolo della correzione de' mosti.
[4]    Quantunque la fecola, e la sostanza fibrosa si trovino separatamente nell'uva, pure entro al mosto spremuto questi due principj vanno quasi sempre uniti.
[5]    Il vino, che risulta da un mosto troppo abbondante di acido onfacioso è disposto alla corruzione; e quello, che proviene da un mosto soverchiamente carico di acido tartaroso inclina più facilmente ad inacetire. La ragione di questa differenza è manifesta. L'acido onfacioso promuove una fermentazione rapida, tumultuosa, violenta; l'impulso n'è tanto furibondo, che non permette al liquore di arrestarsi al termine della fermentazione vinosa, né a quello della fermentazione acida: la veemenza del corso il trasporta fino alla putrefazione. Per l'opposto l'acido del tartaro, non opera con tanto precipizio, egli modera i progressi della fermentazione vinosa; e solo quando eccede nella quantità conduce il vino allo stato di aceto.
[6]    La mucilagine soverchia è nociva al mosto; ma non tanto, quanto la troppa abbondanza di acido, e di acqua.
[7]    Da questo sperimento si ricava, che il vantaggio di tener le viti appoggiate a de' pali secchi arriva a più di un terzo.

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