lunedì 30 luglio 2012

IL PROCESSO PER ERESIA DI MUSSOLENTE (VI) NEL XVI° SECOLO

IL PROCESSO PER ERESIA DI MUSSOLENTE (VI) NEL XVI° SECOLO

Il processo per eresia luterana scoperto a Mussolente (VI) nella seconda metà del Cinquecento dall’inquisizione, apre uno scenario interessante e inedito sul problematico rapporto fra cattolicesimo e luteranesimo nel Pedemonte del Grappa all’indomani della chiusura del Concilio di Trento. Gli interrogatori del tribunale ecclesiastico di Belluno, nella cui diocesi si trovava Mussolente, pongono in risalto la complessa rete di rapporti intercorsi fra i pionieri dell’eresia nell’Italia settentrionale e il tessuto religioso e sociale nel quale il pensiero luterano tenta di insinuarsi. Alla fine emerge un quadro sorprende di personaggi e località toccate a vario titolo da questo scontro religioso, destinato ad aprire nuove e originali piste di ricerca per scoprire una volta di più che la storia del nostro passato è nata anche da questi incontri/scontri di pensiero e dottrine che tentavano di rispondere all’unico bisogno di salvezza individuale e collettiva.

Questa prima parte di ricerca svolta dall’amico Stefano Zulian è inserita in un più ampio progetto di ricerca sul medioevo di Mussolente, commissionato allo stesso Zulian dalla pro Loco di Mussolente e Casoni con la coordinazione del Prof. Gabriele Farronato, non ha alcuna pretesa di esaustività e indagine approfondita. E’ un primo tentativo di raccogliere i dati desunti dal processo inquisitorio in attesa che qualche benefattore privato o pubblico permetta di andare oltre questo trassunto per arrivare a uno studio completo. Si è ancora lontani da un’indagine in grado di dimostrare la presenza di eventuali collegamenti fra i vari cenacoli presenti nel Veneto orientale e di questi col mondo germanico. Studi esemplari come quello sul cenacolo di Cittadella (PD) curato da Ester Zille nel lontano 1971, rimangono ancora dei casi unici e isolati.  Sarà possibile arrivare a un volume che contenga la storia del processo di Mussolente, in grado di ricostruire il quadro integrale del rapporto religioso, sociale ed economico delle persone e delle comunità investite da questa inesplorata vicenda?

Nel frattempo siamo grati a Stefano che permette le anticipazioni che saranno pubblicate a puntate su questo sito.





Archivio Curia vescovile di Belluno

n. s. s/8/1 - R. III ° - S. D.

1
1577
Mussolente
Processo contro varie persone
per eresia


S). .
Processo del Santo Officio delle cose di Mussolenta carte 295


Criminalis Processus contra hereses
Mussolentanas
Manu Bernardi Thysoni notario ex curia
Ep’alis Bellunensis v. Canc.

Rev. do P. M.  Bonaventura Mareno doct.
Theologo Minorita Inquisitore


c.  1r.
Indizione quinta, Lunedì, nel quinto anno di pontificato di Papa Gregorio XIII, “in sacrestia maiori bellunensi ecclesia civitat.  Belluni”.
Sono presenti: don Nicola Barzetti, cancelliere del vescovo Johannes Battista Valerii, dottore in sacra teologia, vescovo e conte di Belluno, vicario e luogotenente generale nella speciale causa contro l’eresia e il P. M. Bonaventura Mareno, bellunese, dell’ordine frati minori conventuali di san Francesco, dottore in teologia e Inquisitore di questa città e diocesi con i suoi meriti ecc. Qui, alla presenza di una lettera scritta in data del 17 marzo, da Mussolente, da don Giovanni Regoggia, rettore della chiesa parrocchiale di S. Pietro di Mussolente, nel territorio di Asolo per il potere temporale, ma nella diocesi di Belluno per quello spirituale, scritta e ora ricevuta a mano da Busnardo Bernardo di Mussolente per nome del reverendo don Giovanni Regoggia.
Il contenuto della lettera è riportato brevemente a voce: alcuni uomini di una setta di eretici malvagi, immemori della loro salvezza e guidati dal diabolico spirito e in particolare da Benedetto Brentium, Giuseppe Follador, Paris (Paride) suo figlio e Momin Cargnato, che vivono solitamente in villa di Mussolente, in diversi luoghi di questa pieve, assieme a molti osarono insultare la santa fede cattolica

c. 1v.
spargendo varie eresie ed erronee opinioni. Il predetto Benedetto si esprime negando l’autorità della Santa Madre Chiesa Cattolica, asserendo anche che il purgatorio non esiste e che gli effetti del “Santissimo Sacrificio di Sacrissimi Corpo e Sangue“ di D. N. Jesu Christo, che svolgiamo durante la messa dei defunti non servono a nulla: e ancor più, senza vergogna, nega il Santissimo Sacramento; così come quelli della “Venerabile Beatissima Deipara sempre Vergine Maria” e di tutti i Santi che sono accolti nella Sacra e Santa Madre Chiesa, come pure in modo ignobile dannava le invocazioni che servono alla venerazione: e anche divulgando tante opinioni sacrileghe; aliene ai nostri e ortodossi decreti dei Padri, come degli articoli della stessa Santa Madre Chiesa Romana, con grandissimo disaccordo. Contro tutto quello che il cattolico cristiano deve credere e difendere (?tenuo). Commettendo questo contro Dio e la Giustizia con grandissimo scandalo e piena mormorazione del popolo cattolico, con altri pessimi esempi come il vilipendio contro il vescovo e l’Ufficio dell’ Inquisizione, con massimo pregiudizio per la sua anima.
Con piena volontà di entrambi ovvero i predetti vicario e Inquisitore di estirpare l’eresia di questa diocesi; decretano quindi di procedere in merito iniziando contro i predetti quattro sia contro qualunque loro simile; e scoprendone le colpe punire, alla giustizia inducendo nel miglior modo possibile.

Il testo della lettera è poi riportato che riassumo:

c. 2r.
la lettera è del 17 marzo 1577 (il simbolo è quello del numero 18. . probabilmente errore) di mattina.
E’ di fatto una risposta a lettera da don Giovanni ricevuta. Lui dichiara che “il foco è di modo accresciuto” e che bisogna al più presto estinguerlo, come sentirà anche dalla bocca di chi porta la lettera cioè Bernardo Busnardo mandato “secretamente” e pagato con i danari della “fabrica” e chiede umilmente (qui usa il latino) di essere rapidi per scoprire questi eretici così nessuno sarà danneggiato se non il solo seme (quanto sottolineato è di nuovo latino).
A questo punto racconta i fatti.
L’ultima domenica di Carnevale “desideroso di far sì“ che nessuno stesse con “questo empio di Benetto (cioè Benedetto Brenzio) fecci ufficio” con Iseppo Follador che avvertisse suo figlio Paris che non “tenga pratica” con Benetto “vedendosi insieme di continuo”. Aveva, infatti, sentito dire che era “stato abbrusciato in casa sua un libro” e riferisce che quel Benetto “va ragionando molte cose contro la chiesa santa” e che se gli si affianca nella pratica incorre “in qualche fastidio. Il buon vecchio mi rispose che gli divessi

c. 2 v.
chiamarlo io che mi ascolterà più volentieri”.
Quando poi fu la seconda settimana di Quaresima arriva da don Giovanni Paris assieme a Benetto. Paris chiede che sia loro fatta una “fede” per andare a Marostica: don Giovanni la fa “et non gli dico altro”. Paris ancora torna da lui il sabato 2 marzo dopo “disnar” e gli domanda di nuovo una “fede” “et io non vedendo altri con lui feci l’ufficio, dicendo, Paris, tu sai che io desidero, che casa tua habbia bene, et però dico, che debbi lasciar la stretta pratica di Benetto, perche etc.”. Paris gli risponde che Benetto è un uomo per bene e don Giovanni “fui necessitato di dirgli, che Benetto ha havuto ardir di negar il Purgatorio: che i santi non possono appresso Dio pregar, per noi; che le messe de i morti non vagliano: che le figure dei santi sono indolatri etc.”. Così gli chiede cosa ne pensa lui. Ma Paris già solo sulla questione del Purgatorio risponde “non haverlo veduto”. ”Et finalmente mette mano à un libro, che era il testamento nuovo vulgar; et io subito lo guardo da ogni parte, et vedo una epistola di Erasmo Rotherodamo, et piglio l’indice delli libri prohibiti, et vedo anco esser scritti in margine di esso libro queste formal parole. Non quello, che entra per la bocca macula l’homo, ma quello che esce della bocca: dico, questo libro è prohibito; et gli mostrò

Lutero affigge le famose tesi
c. 3r
l’indice che bisogna bruciarsi, i mi risponde con una voce inspiritata dicendo se Dio l’ha prohibito lè prohibito, ma se Dio non l’ha prohibito, nò intendo che sia prohibito” e la risposta di don Giovanni fu che “è stato proibito da chi può proibire“ e perciò dice che bisogna bruciarlo. Qui Paris replica che non vuole bruciarlo perché è povero “che mi costa un mocenigo, che l’ho comprato da Benetto, che non ho il mò di buttar via danari”. E così “per cavargli il libro dalle man per brusarlo” don Giovanni chiama sua sorella Prudenzia (stupendo vero personaggio!) “che gli faccio contar questo mocenigo”. A questo punto lo esorta ad abbandonare quelle sue opinioni e lo fa alla presenza di sua sorella e di sua “zermana” (cugina) che non nomina. Paris ricevuti i soldi quindi se ne va. Paris però non se ne va subito e chiese il libro di nuovo a Prudenzia che gli dà le 26 lire che fanno un mocenigo ma Prudenzia, che ha evidentemente ascoltato la conversazione giustamente gli risponde che se ha detto che deve bruciarlo non gli darà più il libro.
La stessa domenica arriva di nuovo Paris Follador figlio di Iseppo che “con bravate” voleva che gli ridasse il libro e spiega che Benetto non aveva venduto a lui il libro ma solo “impegnato per un mocenigo” e che se non glielo dà avrà contro Benetto quindi “con parole alterate” Paris gli buttò i danari “su una cassa” e dice che rivuole il suo libro. Al che don Giovanni furbescamente gli dice “per lavarmelo  via dagli occhi” che glielo darà solo alla presenza di due testimoni non essendo quel libro proibito.

c. 3v.
e così se ne andò. Ma don Giovanni comprende che vi è “qualche intrigo” e “il dopo disnar” finito il vespero parte a cavallo e va a San Zenone assieme al libro e lo mostra al reverendo del luogo per un consiglio. Purtroppo non trovò nessuno e tornato a casa vede messer Iseppo Follador assieme a Momin Cargnato “cha ha fama da saper dal certo compagno, et compare di messer Iseppo, che lavora per garzotto in casa di esso messer Iseppo, era anco insieme con lui messer Galasso da Roman et messer Domenego Busnardo in una strada appresso la piazza di Mussolente avanti la casa delli …?. . ”. Vedendolo arrivare Iseppo e Momin si separano dagli altri due “et aspettano così camminando pian piano” scrive poi precisando, non so a che motivo, che a loro pareva di non essere sentiti da Galasso né dal Busnardo o da altri. Don Giovanni arriva quindi a cavallo e li saluta per proseguire ma Iseppo lo trattiene dicendogli che gli vuol parlare e continua ricordando che il giorno prima era stato a Castelfranco e tornò a casa “la sera tardi” venendo a sapere che suo figlio Paris era stato da lui e che egli aveva “intrattenuto“ il suo libro. Don Giovanni gli dice che l’ha tenuto perché è proibito e Iseppo ribatte che non è proibito: gli deve ridare il libro “et che se mi impacciarò in questo caso” lo minaccia. Don Giovanni risponde che se il libro non è proibito glielo ridarrà. Al che l’altro inizia

c. 4r.
a “dirmi villanie” e “ch’io vada à insegnar alle cavre”. Don Giovanni “per non far tumulto” prosegue il viaggio voltandosi a dirgli “che potreste parlar meglio” e giunse a casa senza nessun altro problema per quel giorno.
Il giorno seguente, qui cita il giorno 4 del mese presente, dopo la messa lui si trova in camera ma “Dio volle che mia sorella nel uscir fuori dalla sal per andare sul pozzuolo se incontra il Benetto armato, con Paris, e che venivano di lungo per venir in camera”. Trovano però sua sorella e gli chiedono se don Giovanni è in casa e l’intelligente Prudenzia in un secondo gli risponde che non c’è perché era andato “in Vescovà dal conte”. Gli credono e se ne vanno. Sentitosi in pericolo don Giovanni parte con il cavallo “alla lunga à Liedolo” in casa del curato “che è persona litterata et da bene” portandogli il libro “col indice”. Qui gli racconta tutto, mangiarono e presero la decisione di portarsi in S. Zenone per consultarsi con prè Gasparo. Purtroppo non lo trovano perché era andato a Bassano. Così decisero di tornare a Mussolente e lì in casa di don Giovanni bruciare finalmente quel libro. Ma – scrive sempre don Giovanni nella lettera al vescovo del 17 Marzo 1577 – poiché non avevano nel momento in cui si bruciava testimoni che comprendessero quel libro essere proibito, atto tra l’altro che doveva in teoria svolgersi di fronte a Iseppo, Paris e Benetto si decisero di mandare una lettera informativa al Vescovo già allora – in copia negli atti? – e ordinò ai tre di presentarsi subito da lui. Iseppo però si scusa
c. 4v.
non potendo “poter partire dal follo” mentre gli altri due erano andati a Bassano. Così vista l’ora tarda e non potendo trattenere sempre il curato di Liedolo montarono a cavallo “e andassimo sino da barba Alousye (Luigi) Stradiotto e lì trovarono un testimone “che sapeva leggere”. Gli fecero vedere il libro “con ogni di licenza” mostrandogli l’indice e alla sua presenza (non scrive mai il nome del testimone) e di quella di “barba Aloyse Stradiotto” lo gettarono nel fuoco. Poi don Giovanni si fece accompagnare a casa e il giorno finì.
“Il marti de mattina seguente” dopo la messa quando ancora era in sacrestia vede Benetto e Paris e gli dice d’avere bruciato il libro. ”Per menno loro male”. Paris lo aggredì verbalmente “con parole venenate” che rivuole il suo libro, che non era proibito e che don Giovanni gli aveva promesso di restituirglielo di fronte a due testimoni se non gli darà il libro – e almeno – gli tornasse il mocenigo. In risposta prè Giovanni gli disse “che se vuole qualche cosa da me, che lì è la raggione”. A questo punto perso libro (e mocenigo) entrambi lo insultano e gli confessano, come provocazione, che hanno “una bibia vulgar”, “licet che non la possono tenere” continuando ad insultarlo in chiesa e sul sagrato “ch’io vada in una stalla à insegnarlo alli cavalli, alli porci, et cavre, et ch’io son indegno d’aver questo benefizio, con minacce, come si può provar il tutto per testimoni.

c. 5r.
arrivato il sabato Benetto manda a parlare per lui Aloyse Stradiotto dicendogli che vuole (Benetto) confessarsi. Don Giovanni gli risponde che vada da quello che lo può assolvere. Ancora Benetto gli dice che vuole mostrargli la Bibbia ma che “non voleva lasciarmela”.
“Insomma la cosa è fatta tanto pubblica, che non si raggiona d’altro a “Bassan, Asolo, et tutte quelle ville circonvicine” Don Giovanni ringrazia Dio Benedetto e il suo popolo perché l’hanno difeso altrimenti “fin d’hora mi avrebbero questi impii martorizzato”. Spiega che sarebbe subito andato a Cividale (cioè Belluno) ma i suoi parrocchiani pensavano che sarebbero scappati“ et se questi miei figlioli buoni spirituali havessero facoltà, fin adesso, m° Iseppo Follador, cò suo fiol Paris, Benetto, e Momin Cargnato i quali da tutti sono tenuti per heretici marci; li avrebbero presi”. Così don Giovanni constatato non esservi l’Inquisitore e il vescovo indisposto scrive una lettera al podestà di Asolo (mossa che obbliga lo Stato ad intervenire) cioè il nobile Vincenzo Contarini, perché “faccia retornar uno, ò più delli sopranominati” cioè o il vescovo o l’Inquisitore perché ha saputo che Benetto e Paris non dormono mai “in un loco fermo” spiegando che “chi non usa arte “ con fatica potrà prenderli. Delle cose, che ha “raggionato Benetto tutta la villa ne è piena, et desidera quanto prima se ne faccia una gaiarda provisione. Bisogna metter ogni studio per esradicar

c. 5 v.
ò pur venir lei istessa subito subito V. S. si raccordi quel detto della scrittura, estate prudens, sicut serpentes. Io vedo la villa molto desiderosa di smorbare questa peste, et dirammo tante cose per essere nasciuta la infermità dal vecchio arbore gia altre volte inquisito”. Ricorda al vescovo che nelle precedenti lettere aveva già previsto questa “malattia” e per questo desiderava la visita quanto prima dove spiegherà a voce altre cose. Cita il collega del Follador, Momin Cargnato il quale ha fatto cancellar dalla Scuola della Madonna sua moglie e pur se adesso fa il devoto dice, vuol farsi anche confessare “more juda”!. Ma lui non lo farà, come neppure per Iseppo e Paris i quali gli han detto “delle villanie”. Ha quindi deciso – prosegue la lettera – di non confessarli né comunicarli perché lui non può assolverli “come V. S. sa “. Rinnova la richiesta di far presto per estirpar la peste. Gli assicura che non se ne andrà ma che ha molta paura specie di notte perché l’abitazione sua è malsicura “et costori sono gente disperata” che non hanno ne diritto ne reverso”. Precisa che sono in XIII della setta non sa come evitarli e richiede Dio come “schutto” per difendersi.

c. 7r.
Dopo lodi varie ricorda ancora “la cosa è tanto divulgata che bisogna procedere gagliardamente ad honore del signor Dio”. Descrive la sua impossibilità ad andar a Cividale perché non ha sostituti e che se potessero mandare dei sacerdoti qui lui andrà poi a Cividale.
“Ho inteso, che Benetto, et Paris sopranominati sono per venir a Cividale per haver licentia da V. S. ch’io li confessi i se ciò fusse vero, V. S. li può far ritenere”.
Supplica di nuovo il vescovo di non lasciarlo in pericolo. Ricorda che quella settimana si iniziano le confessioni delle donne “e son tanto travagliato“ che difficilmente riesce nel suo ufficio “questa è cosa molto importante et bisogna quanto prima estirpare queste piante infernali”. Di nuovo richiede aiuto e precisa ora che la setta si stà “discoprendosi per quello ch’io intendo”. Aveva già scritto che desiderava

c. 7v.
gli fosse concessa facoltà di assolvere “dalli casi risservati à M. r R. mo over in lei”. Termina scrivendo che è dell’opinione di non voler confessare la moglie di Iseppo perché la sospetta di eresia.
Dato in Mussolente il 17 Marzo del 1577

Vi è la copia della “pollica”
E’ datata 3 marzo 1577, scritta nella sua camera in presenza di Battista Mariotto
Inizia dicendo che ser Menego Trivisiol “essendo ieri nella bottega di ser Zuanne Guielmin fu Anzol “ha sentito dire da Benetto Brenzo alla presenza oltre che di detto Zuanne di Toni Bellon, Battiston Guielmin e Andrea Caton le seguenti parole “che tutti li preti dicendo la messa dicono busie et dice anco haver inteso, che nega il Purgatorio, alquanti giorni avanti, et anco hori. Queste sono delle cose, che va dicendo questo tristazzo il qual non vuole immagini de santi in chiesa;ne i santi, ne la madonna non possono pregare per noi,

c. 8r.
V. S. potria deputar per Inquisitor il rev. M. r. preposito di Asolo, il quale e homo litterato, et pratico delle cose del mondo”
Segue la copia della lettera scritta da Bernardo Busnardo che è indirizzata al r. mo m. r. don Nicolo Barzetti degnissimo vicario del vescovo di Cividal di Belluno.
Bernardo scrive una breve lettera in cui ricorda che il piovano di Mussolente è bellunese e “molto travagliato” e se il vescovo non sarà rapido e “ non farà gagliarda provisione” i “boni veniranno a partit per li cativi”. Ecco che trova “baldanza di scrivierri ……. . con queste quattro parole” datate in Mussolente 16 Marzo 1577

Lutero brucia la bolla di scomunica papale
Segue la lettera in latino per l’istruttoria del processo inviata al

c. 8v.
podestà di Asolo. (La lettera in copia è in volgare e saranno tutte intese in volgare salvo diversa mia nota. ) Il podesta è appunto Vincenzo Contarini. La lettera è firmata dal podestà e capitanio di Belluno Zuanne Dolfin. Il quale fa presente al suo collega in Asolo “…siano alcuni che vadino disseminando dottrina heretica…” in Mussolente e che su richiesta del padre Inquisitore della sua città e del vicario del vescovo “…lo vogli esser contenta prestargli il brazzo seculare sua; acciò passi (…) prender tal deseminatori (. . ) acciò la giustizia fornisca l’affetto suo. . ” in data del 18 Marzo 1577 (qui scrive solo 77);
la lettera è consegnata al vicario del vescovo che la dà all’Inquisitore il quale parte per Asolo e Mussolente. Lì in Asolo la dovrà mostrare al podestà.

c. 9r.
e si dovrà attivare per la formazione di un processo verificando lo stato di cose e del …?. . . dell’heresia. Dovrà portare con se un notaio in questo caso in vice cancelliere (a cui dobbiamo moltissimo per la sua scrittura elegante) della curia Bernardo Thysoni. Questo è deciso in data del 19 Marzo 1577

Il giorno di. . ?. . XX Marzo 1577. Di buon mattino l’Inquisitore e il notaio s’imbarcano su una zattera e giunti al porto di Pederobba scesero. Poi a cavallo si portarono ad Asolo.

Lo stesso giorno dopo pranzo si ritrovano nel palazzo del rettore di Asolo, assieme a Vincenzo Contarini e presentano la lettera. Dopo una lunga esposizione della vicenda s’insiste per aver il braccio secolare per arrestare Benedetto Brenzo di Mussolente pesantemente sospettato di eresia e trattenerlo per impedirne la fuga. Al che il rettore di Asolo sentito e letto le lettera offrì la sua totale disponibilità all’Inquisitore e subito diede ordine ai suoi funzionari di mettersi a disposizione del padre Inquisitore.
L’inquisitore riunito con i “commilitoni” della pretura di Asolo ordina che nella seguente notte

c. 9v.
fosse arrestato detto Benedetto Brenzo e che una volta catturato sia in carcere detenuto avendo cura che avesse minime possibilità di conversare con gli altri.
Dopo di che l’Inquisitore ordina al notaio di scrivere una lettera a don Giovanni di Mussolente con le direttive e l’ordine di assecondare in ogni modo i comilitoni di Asolo. La lettera è sigillata con il sigillo del vicario di Belluno.

La mattina del giorno del 21 marzo 1577 nel convento dei ss Angeli di Asolo si presenta Benedetto Argentinus mandato dal podestà di Asolo in quale informa che la notte scorsa si sono portati a Mussolente nella casa di Benedetto Brenzo e lo hanno catturato.

Qui il testo da solo latino è misto. Il virgolettato è in volgare come nel documento.
Il notaio riporta quel che la moglie di Benetto dice al momento in cui lo portano via “Quando tornereu !” e lui rispose “Dio el sa quando / perche il viazzo è longo alle qual parole esso cavalier (cioè l’ufficiale capo) li disse, da qua à Asolo è pur puoco viazzo e lui li replicò, bisogna che mi vada a Cividal. et esso cavalier allora li disse, tu sai piu de mi, e perche bisogna che tu vada a Cividal ! et egli rispose, perche sono incolpato di heretico. ” Soggiungendo poi “L’havete indovinata à venir questa notte, perché se venivi prima no mi ritrovi à casa, et se aspettavi a doman da matina facevi il simile, perché

c. 10 r.
voleva andar con la mia cavalla sul padoan. ”
Il notaio scrive che le frasi dimostravano che lui si considera un eretico. Libri e scritti, proibiti e non, vengono trovati in una dispensa e sequestrati e forse li dà lui stesso
Sentita quindi la relazione l’Inquisitore assieme al podestà si porta a vedere i libri e le scritture per poi determinarne i proibiti e ne ordina summa al notaio.

La stessa mattina nel palazzo del podestà di Asolo.
Qui l’Inquisitore è alla presenza del podestà e al dottore in teologia frate Benedetto Sicco minorita. Sembra di capire che subito si stabilisce cosa tenere di quanto ritrovato nella dispensa (“carnario”) e quanto invece restituire.

Segue la nota in volgare
“Nota delli libri ritrovati, il cavalier del ecc. mo podestà di Asolo in casa di Benetto Brenzo retento e per il r. do p. Inquisitor cerniti fuora, cioè
1 sermone di m. Giovanni del Bene in ottavo
2 un libretto in ottavo intitolato Speranza del cristiano
3 unaltro appresso quello ditto, anotazioni della disciplina de fanciulli per Otton Bonfelsio
4 un libretto scritto à man, che comincia, che mi denega, serà io un
denegato, in forma di sesto x. mo
5 un foglio di comiurationi à saper
6 un scritto di una cavalla venduta per vv. 7. ”

Poi di nuovo in latino. Nello stesso luogo e stessi presenti, dopo la lettura dell’elenco, il rettore chiede sia sostituito dà un suo vicario di nome Aloysio Mottensi a causa di sue altre occupazioni. Il vicario si recherà assieme all’Inquisitore a Mussolente per iniziare le indagini e interrogatori. Si precisa che andranno a cavallo.
Giunti a Mussolente, vi si trova Aloysium Guielmin detto Stradiotto che, di fronte al nunzio della curia, giura di dire la verità. Il suo giuramento varrà per oggi come per quelli seguenti.

c. 11 r.
Vi sono i nomi di coloro che giurano e cioè don Giovanni dc Regoggia cittadino di Belluno ora pievano di Mussolente, donna Didonea sua madre, donna Prudenzia sorella “uterina” cioè sorellastra da parte di madre e donna Sabina sua “amitina” cioè cugina germana.

Qui, con l’assistenza del vicario del rettore di Asolo Aloysio Alessandrin e Benedetto Secco, vi sono anche prè Hieronimo Dulcianum da Bassano curato di Liedolo e prè Hieronimo Baptistam cappellano di san Roco dei Casoni.

Quindi poi nella chiesa di Mussolente (o forse son già qui all’arrivo)
È nominato Aloysio Guielmin che testimonia con la moglie a cui segue l’elenco dei presenti per grado etc. Assieme quindi a don Giovanni e le sue donne di casa giurano in mano all’ Inquisitore. Qui il prè Battista dei Casoni è detto Frassolongo, suo cognome. Lo fanno uno dopo l’altro per poi fare deposizioni separate.

c. 11 v.
A ognuno di loro è corrisposto un numero e al piovano spetta, specificato, il 4, probabilmente indicante la sequenza degli interrogatori.

Nello stesso luogo e giorno.
L’Inquisitore dà l’ordine che i nomi poi riportati si presentino il mattino successivo per il giuramento. Sono Domenico Trivisolo, donna Peregrina sua moglie, Giovanni Guielmin, Antonio Bellon, Battista Guielmin, Andrea Catone, don Bernardo Busnardo, donna Caterina detta La Coccha suocera di Benedetto Brento, Nicola Bazzegan. In totale altri nove in tutto.

Il giorno di venerdì 22 marzo 1577
Di mattina nella chiesa di San Pietro di Mussolente con elencati i presenti dell’Officio inquisitoriale.
Qui si presentano Bernardo Busnardo, Domenico Trevisolo, donna Caterina ovvero “Mina detta la coccha”, donna Peregrina moglie di Domenico predetto e si procede con il giuramento.
c. 12 r.
qui poi si stabilisce che le denunce siano sotto giuramento rese segrete. Si procederà tre alla volta per ogni giorno e il tutto alla fine sarà raccolto in atto.

dopo di questo nella stessa mattinata e luogo. L’Inquisitore fa i nomi di altre persone che devono a venire a testimoniare e cioè: Lorenzo figlio di Domenico Trevisollo, Francesco Poiana molinaro lugati , Francesco Rossetto di Liedolo diocesi di Padova che ora vive in Muxolente, donna Maddalena vedova del fu Aloysio Busnardo, Andrea Rossetto, Jo. Vittore Bazzegan, prè Battista Fossalonga assistente parrocchiale , Bartholomeo ovvero Thomaso fu Camillo Solda.


Nello stesso giorno e luogo, ma dopo pranzo
Vi è il solito la lista presenze poi si ordina che Battista Guielmin, Joan Guielmin, Antonio Bellon, Andrea Catone, Lorenzo Bazzagan e Francesco Poiana molinaro giurino in mano dell’Inquisitore con la premessa che verranno ascoltati uno di seguito all’altro (ovvero numerati nell’ordine dell’elenco).

c. 12 v.
Ecco quindi la prevista numerazione da 8 a 13

Di nuovo nello stesso luogo e presenti tocca ora a Francesco Rossetti fu Joannis da Liedolo agro di Asolo ma diocesi di Padova giurare. A lui spetta il numero 14.

Il giorno di sabato 23 marzo 1577 nella chiesa di S. Nicolò di Muxolente sono presenti Nicolò Bazzega, donna Maddalena vedova di Aloysio Busnardo, Jo Vettor Bazzega e prè Battista Frassolongo che giurano con gli altri con i numeri da 15 a 18.

Nella stessa mattinata, ma nella chiesa di S. Pietro di Muxolente, tocca a Bartholomeo, ovvero Thomaso fu Camillo Viviani detto Solda da Mussolente, giurare con il numero 19.

c. 13 r.
a quel punto l’Inquisitore ordinò che informassero “Costanzo fabro bignario da Mussolente” che doveva subito sotto pena della scomunica presentarsi all’ufficio e portare il libro “Specchio di croce” se ancora esistente, il qual libro era di proprietà di Benetto Brenzo.

E poco dopo dallo stesso luogo partì Aloysio, nunzio del rettore, per andare a prendere detto Costanzo e il libro predetto (manoscritto).

Terminato l’Officio dei giuramenti tornarono ad Asolo.

       Dato in Cassanego di Borso del Grappa, addì 25 Maggio 2012
Gens Iulia di Stefano Zulian



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