lunedì 13 agosto 2012

MEMORIA
del Sig. Giambatista Marzari M. F.
Descrizione d'una tempesta di fulmini
succeduta nel distretto di Castelfranco, Territorio Trivigiano il dì 25 Aprile 1786.
(Letta il dì VIII Febbrajo 1787)

e

Appendice
del Sig. Ab. Giuseppe Toaldo
Riflessi sopra i Colpi di Fulmine
(Letta il dì VIII Febbario 1787)

Saggi Scientifici e Letterarj dell'Accademia di Padova, Tomo III, P. I, Padova 1794, pag. 194-215


            I° Quantunque molte istorie, ed assai ben dettagliate di fulmini si sieno pubblicate fin qui, non si deve per altro stimar superflua affatto la descrizione di quelli, che hanno sparso la desolazione, e lo spavento nel distretto di Castelfranco, se si considera, che furono quegli stessi, che hanno potuto fissar l'attenzion del Governo sopra i mezzi di garantirsene[1]; e somministrar a me delle osservazioni, che diverranno ben interessanti per la Medicina, se avvenga, che lo squisito vostro intendimento, Dottissimi Signori, adotti quelle induzioni, che ho creduto poter dedurre dalle stesse.

            2.° Il giorno di S. Marco 25 Aprile 1786 per tanto, verso le ore prime pomeridiane placida essendo l'aria, comunque estuante per anticipati caldi affannosi, insorse al nostro Nord una nube procellosa, picciola per altro, e tondeggiante, e di color giallo carico quasi traente al sanguigno, che pareva appoggiata a' nostri maggiori monti, e quasi nata da essi. Fiammeggiava pel continuo lampeggiamento, e col muto suo tuoneggiar avvisava i sottoposti luoghi d'imminente pericolo. E di fatti lentamente verso il Sud dirigendosi, sparse, e lanciò con dirotta pioggia fulmini sopra tutti li campanili, sopra dei quali passò, senza risparmiarla né a qualche altra fabbrica di minor considerazione, né a qualche altro luogo parimenti, che non si ha poi potuto, o voluto accuratamente scuoprire. Con quest'orribile crisi si dissipò brevemente, lasciando soltanto dopo di se coll'oscurità del cielo una pericolosa freschezza nell'atmosfera agitata.

Tempesta di fulmini
            3.° Quasi contemporaneamente furono le saette. Quindi disponendole coll'ordine, con cui ho potuto osservare le conseguenze, incomincio dal campanile di Fossalunga, luogo di mia dimora, sopra cui il fulmine si scagliò nella croce di ferro, passò, e percorse la cupola metallica senz'altro danno, sotto di cui incontrando il muro, e la cornice di pietra cotta, la squarciò per varcarla al di fuori. Passò poi veloce all'orologio sconcertandolo un poco, e piombò sopra di quelli, che suonavano le campane. Due furono a tempo di fuggirsene assai poco offesi; ma gli altri due cadettero sul fatto, paralitici, anzi emiplegiaci. Li membri loro dello stesso lato erano privi di ogni moto, e cadevano per la loro flessibilità in qualunque direzione: non ostante però queste parti conservavano il senso, anzi erano affette da dolor vivo, e bruciante: più (cosa assai riflessibile) producevano un senso di non oscura durezza, e rigidità, quando si volevano distender bene. In tal modo queste malattie si distinguevano dalle vere paralisi per il dolore, il superstite senso, l'indicata tensione rapporto agl'infermi; come si distinguevano dal crampo, e dall'altre convulsive affezioni, per ragion della loro sede, e della flessibilità di queste sedi medesime. Per queste ragioni ho creduto, che queste singolari paralisi potessero essere dette paralisi fulminiseque. Uno di questi infelici giaceva sdraiato nel campanile al momento della saetta; riportò sul dorso varie ferite, ma tutte frecciate di forma, e tutte cuticolari; quantunque il fulmine gli fosse caduto perpendicolarmente sul dorso. Si avrà occasione di osservarlo anche in appresso; ma intanto non perdo l'opportunità di far rimarcare un'importante proprietà del fulmine, ed è, che può bene squarciar dall'alto al basso le grossa mura d'un campanile, ma non arriva egli stesso a spaccar la pelle d'un uomo, che a piombo lo riceve.

            4.° Il campanil di Vedelago ebbe due fulmini quasi contemporaneamente, comunque lo lasciassero senz'offesa sensibile. Fatalmente per altro sparsero la desolazione nel popolo in Chiesa raccolto, lo spavento nella villa, ferendo molte persone, ed uccidendone due, che con parecchi altri si erano, per ripararsi dalla pioggia, e non per suonare, rifugiati nel campanile. Secondo alcuni Osservatori, entrarono questi fulmini per le campane, secondo altri discesero dalla cima al di fuori: per la qual strada non trattenuti, né deviati da cosa alcuna piombarono tutti due in men di un secondo sopra degl'infelici. Uno morì sul momento, l'altro perduto il senso conservò per alcuni istanti il moto volontario; ma il suo polso si fece subito picciolo, e spariscente, quantunque si abbia dagli astanti cercato di ravvivarlo coll'aria rinovata, e collo scuotimento. Uno di essi avea contratto un'esterna scottatura sul fianco, l'altro sul capo, ma nessuna d'esse si approfondava a tutta la cute. Vi fu un terzo, che destituito d'ogni movimento, e d'ogni senso, fatto carotico veramente, avendo un polso alto, regolare, ha potuto benissimo riaversi con questi empirici suggerimenti: osservazioni vere, ed importanti, per determinar, com'io credo, la cagion della morte ne' fulminati. Gli altri, che furono da venti, incontrarono varie lesioni, che per altro si possono ridurre alle seguenti; cioè a rossori della pelle dalla combustione nascenti, non meno che ad ulcere cuticolari, ora con escara, ora senza, grandissime qualche volta, qualche altra tanto picciole, che parevano fatte con uno spillo; il callo delle mani l'ho veduto in tal guisa ridotto ad un finissimo crivello. Le altre malattie, furono calori brucianti nelle sedi specialmente ferite; dolori in queste sedi stesse, come ancora in altre esternamente sane; perdite di moto riducibili a paralisi, emiplegie, paraplegie, sempre simili a quelle, che ho descritto sopra; finalmente febbri, e questa si fu la conseguenza più costante della fulminazione. Ho sempre osservato e in questo luogo, ed altrove, che alle lesioni della saetta, fuorché alle immediatamente mortali, successe sempre un polso alto, frequente, febbrile. Questa febbre ora era effimera, e questo per lo più, una volta annunziata da lungo freddo, divenne una sinoca semplice; un'altra volta per altro si presentò sotto la forma d'una maligna nervosa. Per tanto questa febbricitazione più, o men considerabile, che successe ordinariamente, stabilisce vieppiù, se fosse d'uopo, l'analogia del fulmine coll'elettrica scintilla: giacché MUSSCHEMBROECK [Pieter van Musschenbroek, Leida, 14 Marzo 1692 – 19 Settembre 1761, fisico olandese] tra gli altri Fisici, come si sa, provò in se stesso per ben tre volte la febbre, nel rifare la famosa esperienza di Leiden. Ma di tutti e gl'infermi, e i morti stessi, che in questa villa mi furono presentati, e raccomandati, nessuno commosse più vivamente il mio cuore, come quello di tutti gli astanti, quanto una giovane sposa già moriente dall'oppressione, dal dolor, dall'angoscia, dopo che questi due fulmini di Vedelago le avevano ammazzato il fratello, ed un fulmine di Fanziol, che ora descriverò, le aveva ucciso nell'istesso tempo lo sposo, col quale il giorno dopo doveva congiungersi: giusta cagion de' suoi guai, irreparabile, e singolare da registrarsi nella storia delle passioni.

            5.° Il campanil di Fanziol fu bersagliato da un solo fulmine, per quanto si crede, ma in contemplazione de' sofferti danni, sembrerebbe che fossero stati molti, che ad un tempo stesso l'abbiano colpito. Fornito di cupola di rame con croce di ferro, il fulmine la squarciò tutta, facendovi tre grandissimi orificj, e riducendo il restante in pendenti lacinie. Ruppe li sostegni d'una campana che rovesciò sul suo proprio pavimento, spaccò affatto dall'alto al basso li muri, ma principalmente di tramontana, e mezzo dì, scantonò gli angoli ancora della scarpa stessa del campanile. Piombò sopra quelli che giacevano dentro, ne maltrattò parecchi, ne uccise due, imprimendo ad uno una ferita cuticolare, ed all'altro i soli contrassegni esterni d'una occulta suggillazione all'ipocondrio sinistro, sopprimendo, o piuttosto estinguendo in uno di essi irreparabilmente il polso sul fatto stesso, nell'altro infievolendolo in modo da perdersi un poco dopo. Questi due morti, non meno che quelli di Vedelago, conservarono per qualche tempo il calor nativo, e la nativa pieghevolezza delle lor parti; pallidi per altro, e scolorati nel viso, parevano quasi esangui, e dietro a celere colliquazion trapassati. Su uno di essi alcuni Medici tentarono anche il ravvivamento, ma affatto in vano, sia perché troppo tardi eseguito, sia perché anche sconvenga il metodo volgare pegli apparentemente annegati, a richiamare in vita i fulminati, siccome io penso. Quelli, che rimasero feriti furono per altro pochi, attesa la fortunata combinazione, per cui il popolo era per il Vespero in Chiesa raccolto, dove che sarebbe stato quasi tutto la vittima del fulmine, se vagante per le piazze, e per il sacro recinto, come suol fare ne' dì festivi, avesse soggiaciuto a quella tempesta di pietre, che dal diroccato campanile scagliavasi con tanta forza nell'adjacente pianura con quanta a pena avrebbe potuto farlo il cannon medesimo. Le offese furono le stesse con quelle che ho rimarcato, se vi si aggiunge un'amaurosi, e qualche leggiera echimosi, la quale forma un altro fatto, che stabilisce analoga la saetta all'elettrica scintilla, dopo che questa parimenti alla maniera di quella, genera delle echimosi, come tra gli altri osservò WANSWIETEN [Gerard van Swieten, Leida, 7 Maggio 1700 – Vienna, 1 Giugno 1772, medico olandese] stesso nelle meningi d'un uccello.

            6.° Ma tra li fenomeni, che mi parvero degni di riflessione in Fanziol, uno si fu certamente quella perforazione, e lacerazione della cupola di metallo. Pensa in tali casi il celebre Professor TOALDO [Giuseppe Toaldo, Pianezze, 11 Luglio 1719 – Padova, 1797, astronomo e meteorologo] che il fulmine venga ripercosso, e così di riverbero faccia nascere queste stragi. Credo per tanto, che questa ripercussione si faccia dalla camera delle campane nell'interna, e legnosa cavità della cupola; rispinto dalle pietre, che forman la prima, risale in questa, per cui imprigionato rompe, squarcia, e rovina. Potrebbe darsi pure, che la cupola metallica comunicasse coll'interna cavità mediante alcuni legni o guasti, o molto umidi, o forniti di qualche metallo, col qual mezzo introdotto, e chiuso si fosse ripercosso contro la stessa per rovinarla. Forse pure non continuato il rame, si avrà il fulmine gettato al di dentro invitato da qualche corpo ivi esistente, piuttosto che varcar il vuoto qualunque, che avesse potuto lasciarvi il rame. In qualunque modo per altro ciò sia avvenuto, io non dissimulo, che dopo di questo avvenimento son disceso nell'opinione, che questa specie di cupole non sia un buon Conduttore della saetta, all'orlo inferior delle quali attaccar si possa con tutta sicurezza il filo di salute.

            7.° Caselle d'Asolo ebbe pur il suo fulmine, ma questo fu de' più benigni. Forse, anzi senza forse, la mancanza di croce ferrea, ed altro metallo nella sommità, fu la cosa, che l'ha preservato da maggiori disgrazie. Lambendo dall'alto al basso il campanil al di fuori lo rispettò affatto, perché non vi arrecò che un picciolissimo buco alla sfera dell'orologio. Giunto alla porta v'entrò, e ferì un giovine, che entro vi si attrovava. Devo dir per altro, che di tutti i fulminati in tal giorno, questo fu più maltrattato di quelli tutti, che all'istante non perirono: anzi non so se riesca di trovar nelle storie stesse un caso più singolar di questo tanto per la ferita, e le sue conseguenze lasciate dal fulmine, perché a fronte di tutto questo riebbe la sua salute. Fu colpito alla nuca; passò poi il fulmine sotto la camiscia, percorse posteriormente tutta la schiena abbruciandovi un poco gli abiti sovrapposti: di poi ruppe, ed abbruciò li bragoni nello scorrer la parte posterior delle natiche, rientrò nelle calze, che spaccò dall'alto al basso, e se ne uscì per li calcagni, lasciando in questa dimidiata superficie del corpo dalla nuca fino ai tendini d'Achille traccie troppo chiare di se medesimo, cioè l'infiammazione, e l'ulcera ora con escara, ed ora senza affatto. Queste ferite furono accompagnate, e seguite da dolori atroci, calori grandissimi, incredibile inquietudine, veglia perpetua ne' primi giorni, e finalmente da febbre, che pel congiunto delirio, e tremor delle mani, per la sua acutezza, e continuità presentò li caratteri d'una maligna. Ho diretto la cura, e questa è la sola, che credo ben fatto registrare, perché seguita dall'esito il più felice, deve presumersi che li miei consiglj non tanto fossero li veri, ma quelli che dovessero aver luogo su queste malattie, giacché questi stessi furono quelli che ho proporzionato a tutti gli altri infermi, e con tanto successo, che di quaranta, e forse più fulminati nessun altro morì, che quelli, de' quali ho parlato. Quest'infermo per tanto fu salassato discretamente dal braccio e dal piede fin dal principio: allo stesso tempo fu clisterizzato con siero, e zucchero; prescrissi la limonea, e l'ossicrato, e l'acqua fredda per continua bevanda: aggiunsi finalmente li sieri nitrati ad una dieta tenue, ed acidetta. Esternamente feci lavar spesso la gran superficie eritematica con tepida posca, con decotti sambucini avvalorati coll'aceto, colli quali parimenti consigliai che si lavassero, e fomentassero le ulcere stesse. Queste per altro furono trattate in principio con linimenti affatto oleosi, e semplici, che calmarono assai il dolor bruciante, con balsami naturali, riservando li digestivi più o men efficaci, e più o men antisettici a que' luoghi ulcerati, che erano o più o meno sordidi, e sospetti se non altro di qualche nascente gangrenismo, che per altro quantunque accusato assai spesso dal LIEUTAUD [Joseph Lieutaud, Aix en Provence, 12 Giugno 1703 – Versailles, 6 Dicembre 1780, medico francese], pure non mi venne fatto giammai, neppur su tal caso di ritrovare. Con questo metodo la malattia acuta terminò nel corso di due settimane in circa; svanirono ad un tempo l'infiammazione, e la maggior parte delle ulcere; rimasero soltanto, come rimangono anche nel punto in cui scrivo, due luoghi affetti da ulcera cutanea soltanto, che colla fungosità del suo fondo ha resistito fin ora alla bramata cicatrizzazione. Non dubito per altro, che il governo ripercussivo discuziente, e dolcemente corrosivo non ridoni ben presto a questo giovine la pristina sanità.

            VIII. Il campanil di Caeràn fu uno de' più bersagliati, perché ridotto ad una sola superstite metà, e minacciante orrida rovina. Siccome per altro tre furono li filmini, che distintamente il colpirono in men d'un minuto, così di tanta ruina non è gran fatto di maravigliarsi. Si lanciarono essi nella croce di ferro, sopra di cui una fiamma accesero, che pareva abbruciarla; passarono alla cupola di metallo, che per altro niente sofferse; di poi alla camera delle campane, che maltrattarono alquanto, finalmente percossero li due muri di tramontana a levante con tanta forza, che fino alla scarpa li rovesciarono affatto in un colli pavimenti, o suoli di legno, e colle scale stesse interne del campanile. Le pietre vive, che componevan quest'ultima, intercettando colla vitrea ripellente lor forza il passaggio a' fulmini, quasi niente sofferse; ma forse diede motivo ad uno di questi, come mi fu attestato da testimonj oculari, di sbalzar nella Chiesa vicina per la porta, forar il suolo, rimbalzar di poi, e volando sopra il folto popolo in Chiesa raccolto, attaccar un ferale che giaceva al lato opposto, spargendo collo spavento un senso di dolorosa commozione negli articoli, e nelle ginocchia in tutti gli astanti. Siccome poi il primo fulmine avvertì del pericolo le persone, che erano nel campanile radunate, così lo fuggirono con tanta sollecitudine, che li danni riportati furono e pochissimi di numero, e di considerazione, e tutti riducibili a quelli, che ho descritto.

            IX. Ma la nube fulminante essendo circolar di forma, e di non molta circonferenza, ha dovuto per questo inclinar anche a Levante li suoi flagelli; quindi lanciò un fulmine sul campanil di Biadene, su cui per altro non fece alcun danno sensibile; e ripassando su Trivignan ne lanciò un altro sul suo campanile, che parimenti come quello lo rispettò. Forse la mancanza di ferrea Croce, ed altro metallo, se non difese dal fulmine queste fabbriche, almeno le protesse contro li suoi colpi. Bisogna per altro confessare, che se non v'ha dubbio sulla caduta del fulmine in Biadene, giacché fu veduto cader nell'angolo della punta, smoverlo pure, sfantarsi in appresso: si può, e si deve dubitare, se veramente il campanil di Trevignan sia stato fulminato, dietro alla rispettabile testimonianza di quell'Arciprete, il quale mi assicurò, che poté ben sentire il tuono, veder il lampo quasi ad un istesso tempo, ma non già la sua direzione, e la sua caduta pacificamente nel campanile. Non ostante per altro comparvero in quelli, che nel campanile erano raccolti, que' dolori, de' quali ho fatto menzione: oltre di che furono tutti quasi da un salto sbalzati da terra, dopo del quale tramortiti cadettero. Quindi è, che se il fulmine non si scagliò veramente nel campanile, conviene per altro, che si sia talmente avvicinato al Zenit de' suonatori da far loro soffrire i suoi effetti. Tra questi io colloco quel salto involontario, anzi lo riguardo come un fnomeno, che conferma sempre più la simiglianza, o più tosto l'identità della materia elettrica colla fulminea. È già notissimo l'assioma di FRANKLIN [Benjamin Franklin, Boston. 17 Gennaio 1706 – Filadelfia, 17 Aprile 1790, scienziato e politico statunitense], che li corpi inegualmente elettrici si attirano. Ora positivamente elettrica essendo dunque la nube fulminante, e negativamente il corpo de' suonatori, è d'uopo che debbano questi corpi accostarsi tra loro in ragion, com'io penso, reciproca delle lor masse; la qual elettrica attrazione esige, come si vede per parte de' suonatori, l'innalzamento, il salto, e il susseguente rovesciamento. Lascio per altro al giudizio vostro, Ornatissimi Accademici, la decisione se quest'attrazione possa, e debba dedursi dall'espulsione dell'aria frapposta, e prodotta dalla saetta, come per l'elettriche ha proposto, e insegnato il celebre P. BECCARIA [Giovanni Battista Beccaria, Mondovì. 3 Ottobre 1716 – Torino, 27 Maggio 1781, fisico e matematico].

            X. Son questi li fulmini scagliati contro li nostri campanili il memorabile giorno di S. Marco. Sono essi di ville confinanti tra loro, circolarmente disposti, e tra loro sì vicini, che il giro di questa circonferenza non eccede sensibilmente quindeci miglia. Siccome poi il fulmine li ha visitati tutti, è ben credibile che se ve ne fossero stati degli altri, avrebbero essi pure avuta la sorte stessa; la qual conghiettura si conferma da ciò, che la nube era già sopraccaricata assai di fuoco, come lo dimostrava il continuo lampeggiamento, e che dove mancava il campanile, come a Montebelluna, il fulmine si gettò sopra altre fabbriche, e luoghi. Può immaginarsi da ciò quanti flagelli avrebbe portato tal orrido temporale, se invece d'estendersi in un'ampia isolata campagna, come fece, si fosse portato sopra di qualche popolata Città, e molto più sopra la Dominante, dove avrebbe ritrovato apparecchiate tante punte da bersagliare, e tante teste da uccidere.

            XI. Siccome per altro la storia fisica di questi fulmini coincide talmente con quelle che si sono pubblicate, che sarebbe nojosa cosa il trattenervisi d'avantaggio, così credo miglior divisamento quello d'occuparsi alcun poco sopra alla medica, come quella, che mi ha presentato de' Fenomeni, che, se non fallo, non sono per anco stati rimarcati da alcuno, e dietro ad essi delle considerazioni ben importanti. Ho già detto, ma giova il ripeterlo ancora, che le malattie alla fulminazione successe furono I° febbri effimere, finoché maligne, 2° eritemi, 3° ulcere cutanee, e quasi sempre cuticulari, 4° escare, 5° calori, 6° dolori, 7° paralisi, 8° cavi, 9° amaurosi. Ho parimenti detto, e lo ripeto nuovamente, che la cura istituita col più gran successo contro a tutte queste malattie, fu una sola, come una sola fu la causa di tutte; che questa era internamente l'acescente, e l'antiflogistica: dove che l'esterna cura dell'ulcere impiegò gli oleosi se erano dolenti; se monde li balsami naturali, se sordide li digestivi, se spiranti gangrena finalmente gli antisettici, riserbando la posca, e li sambucini, e simiglianti fomenti che cospiravano cogli interni indicati, alle cutanee infiammazioni dalla scottatura nascenti.

            XII. Non ignoro per altro, che questa storia de' fulminati è ben imperfetta, dopo che è sfornita della storia anatomica di quelli, che per il fulmine soccombettero sul momento. Ma se si considererà, che questo vuoto non nasce precisamente da parte mia, ma è voluto dalle leggi medesime, che commettono questa ispezione agli Ufficj di Sanità, piuttosto che rinfacciarmelo si scuoprirà l'utilità di abolir queste leggi. In tal maniera in oltre si solleverebbero le Comunità dalle non necessarie spese, che soffrono per queste revisioni, niente migliori di quelle che farebbe qualunque altro membro della facoltà, dopoché deve riguardarsi per egualmente capace di quelli, che vengono scielti, e commissionati a tal uopo. Dovendo io dunque supplir a questo vuoto per soddisfar al mio disegno, lo farò non più col riferire quel che ho veduto, ma piuttosto quello che viddero gli altri. Or negli atti di Pietroburgo vi è la dissezione anatomica di un fulminato, in cui al di fuori si vedeva un abbruciamento, ma per altro cutaneo, più la gonfiezza del pene, e dell'abdome: mentre al di dentro si ritrovò molta sierosità nel cervello, e nella spina; il sangue fluidissimo, il cuore, e i gran vasi affatto vuoti di sangue, e all'incontro ripiena di flati la cavità alimentare, che rendevano tumido, come si disse, l'abdome. In quelli della Società Reale di Londra v'è la sezione d'un altro, in cui sanissime essendo l'interne viscere non furono osservate al di fuori, che le reliquie della fulminea combustione. MUSSCHEMBROEK, citando VILLIS [Thomas Willis, Wilshire, 27 Gennaio 1621 – Londra, 11 Novembre 1675, medico britannico], e PITCARNE [Alexander Pitcarne, 1622?-1695, scozzese] in luoghi, che inutilmente ho ricercato, asserisce parimenti che in un altro cadavere intatte essendo l'interiora, li soli polmoni erano pregni, e inondati da sangue, come quelli degli animali trucidati dall'elettricità, o morti nel vuoto. Coincidono con questo le storie del BONNET [Charles Bonnet, Ginevra, 13 Marzo 1720 – Genthod, 20 Maggio 1793, biologo e filosofo svizzero] per istabilire, che le lesioni esterne sono generalmente cutanee, e mai mortali; che il cuore, e li gran vasi appariscon vuoti di sangue, che questo preternaturalmente fluido sembra in parte sfumato, ed in parte raccolto ne' polmoni, o ne' vasi dal cuore lontani. Finalmente che li loro cadaveri non presentano talvolta alcuna lesione né esterna, né interna, come osserva il celebre PLENTZ.

Violento temporale
            XIII. Ma se questi fenomeni, che ho descritto fin qui, sono prodotti dall'azion del fulmine sul corpo umano, qual è mai il meccanismo di quest'azione, cioè la teoria delle malattie, e della morte stessa che genera talvolta? Io non dissimulo la facilità di soddisfare alla prima di queste ricerche, ma neppure la difficoltà di risponder alla seconda. Già ogn'uno di leggieri s'avvede, che l'irritamento delle fibre, la soluzione, e attenuamento del sangue, l'aumento della sua natural espansione, e calore, sono fenomeni, che il fuoco fulmineo, come elettrico di natura, essenzialmente opera nel corpo animale. Or questi fenomeni stessi costituiscono altrettante cause prime, e interne, che più o men gravi essendo, e più o men combinate tra loro, danno luogo a tutte le malattie, che ho osservato, secondo che sono appoggiate alle varie, e differenti sedi del corpo. Ma se questa parte di teorica non sembra esiger che un cenno, qual'è mai quella della morte, e di una morte sì rapida, quanto è il fulmine che la produce?

            XIV. Per soddisfarvi nel modo che mi par e ragionevole, e solo, premetto il prestigio dell'immortal MORGAGNI [Giovanni Battista Morgagni, Forlì, 25 Febbraio 1682 – Padova 5 Dicembre 1771, medico, anatomista e patologo], cioè, che le cause delle morti repentine stanno sempre nelli polmoni, o nel cervello, e congiunte produzioni nervose, ovvero nel cuore, e gran vasi. Dopo di ciò rivolgendo l'attenzione sopra il fenomeno superiormente rimarcato, cioè che la respirazione rimase incontaminata sì ne' moribondi pel fulmine, che negli offesi, conclude, che ne' polmoni né v'è la cagion della morte, né per questo deve in essi indagarsi. Oltre di che quando queste cause stanno ne' polmoni, come pensano alcuni, esse quali si vogliono mai che siano, non produrrebbero mai una morte così veloce, come ordinariamente è quella de' fulminati, né si sarebbero potuto sottrarre alla anatomica perquisizione. Siccome poi anche il sistema nervoso comparve sano, e soltanto bagnato da quella sierosità, che piuttosto è il prodotto, che la cagion della morte, come è notissimo; così io escludo parimenti quest'organo dalla sede mortifica, tanto più, quanto che le soporose affezioni che talvolta comparvero, non furono punto mortali; che li polsi degl'infermi, e de' morienti mai furono, quali si osservano nell'apoplesia; diversi parimenti rimanendo il colore, e la forma del volto ne' morti, da quanto costantemente si riscontra negli apopletici. Per la qual cosa appoggiato al principio stesso del MORGAGNI resta che si riguardi nel cuore la sede di queste morti. Ora questa conseguenza nata, come si vede, dalla sola esclusione, acquista poi un fondamento diretto dall'osservazione, che il sintoma, che solo ha preceduto alla morte, quando non fu istantanea, si fu solamente il polso picciolo, spariscente, senza che di esso possa accusarsi, che il cuor medesimo. Ora questo dimostra, che la mortal malattia si fu o una sincope, in asfissia ben presto degenerata, od un'asfissia fin sul principio, nata per colpa del cuore, come rimarcarono SOUVAGES [François Boissier de Sauvages de Lacroix, Alès, 12 Maggio 1706 – 19 Febbraio 1767, fisico e botanico francese] e CULLEN [William Cullen, Hamilton, 15 Aprile 1710 – Kirknewton, 5 Febbraio 1790, medico e chimico scozzese], troppo illuminati per confonderla coll'apoplesia, come si era fatto per l'avanti.

            XV. Ma se il cuore contiene la causa della mortal asfissia, qual'è mai la natura di questa causa? A buon conto le osservazioni mediche, l'anatomica dissezione, la fisiologia esperimentale, siccome suppongo notissimo, dimostrano di concerto, che le cagioni di questo male, quando organiche non sono, come si sa che non lo sono nel caso nostro, altre esser non possono che, o le lesioni della forza del cuore, o del suo stimolo, che è il sangue, giacché da questi due elementi la sua azione risulta, che è il moto vitale. Ora questa forza può diminuirsi primieramente, e così indur un'asfissia paralitica; ma quando ciò accade, il sangue si accumula sempre alli precordj nel cuore, cioè ne' gran vasi, e si sparge sino al pericardio stesso, come l'anatomia ha dimostrato. Così, per esempio, la sulfurea esalazione, che uccide sì presto gli animali in essa giacenti, produce quella sanguinosa congestione ne' precordj sempre evidente ne' loro cadaveri, ed appunto questa moffetta distrugge l'irritabilità del cuore, come dopo al celebre FONTANA [Mariano Fontana, Casalmaggiore, 16.01.1746 – Milano, 16.11.1808, matematico] ne lo dimostrò invincibilmente l'illustre Sig. CARMINATI [Bassiano Carminati, Lodi, 1750 – Milano, 8 Gennaio 1830, medico] sì opera la lor mortal asfissia. Ma ne' fulminati tanto è lontano, che possi aver luogo tal distruzione, che li loro cadaveri in vece di congestion precordiale, offrono un'inanità, come s'avvidero gli Accademici di Pietroburgo. La qual inanità poi è uno di que' fecondi fenomeni della natura, che importa stimare assai, dopo che distrugge ad un tempo stesso l'ipotesi, che la copia dello stimolo, cioè l'abbondanza del sangue induca una pletorica asfissia, soffocante, come suol dirsi, la circolazione, e la vita.

            XVI. Se dunque né la pletora, né la paralisi del cuore possono produrre quest'asfissia, conviene che l'azion del cuore troppo forte, cioè la sua convulsione, ovvero la deficienza del suo stimolo, sien quelle, che la producono. E in fatti il cuor violentemente contratto non meno che li suoi gran vasi, permanendo troppo a lungo nella sua sistole, può sul fatto distrugger col polso la vita. Ora la somma irritabilità di queste parti a tutti palese, la forza somma, che possiede l'elettrico fuoco d'accrescerla, e di accrescer a un tempo stesso l'irritamento del sangue, con cui si mescola, dimostrata se non altro dalla febbre, che succede all'elettrizazione, e alla fulminazione; la presenza stessa di un'inanità nel cuore, e ne' vasi; la deficienza d'ogni altra cagione assegnabile a quest'asfissia, costituiscono altrettanti argomenti per pensare, che essa derivi dall'indicata convulsione almeno in parte.

            XVII. Ho detto almeno in parte, perché penso effettivamente, che a questa causa vi si accoppj la mancanza istantanea del sangue del cuore dimostrata, come mi sembra, sufficientemente dall'anatomia, come ho notato. Si genera essa dall'accrescimento di circolazione, di traspirazione, che produce l'elettrico fuoco, come dimostrarono NOLLET [Jean Antoine Nollet, Pimprez, 19 Dicembre 1700 – 24 Aprile 1770, fisico francese], e JALLABERT [Jean Jallabert, Ginevra, 26 Luglio 1712 – Nyon, 11 Marzo 1768, fisico svizzero]specialmente per cui il sangue si perde, e svapora. Ma io non dubito che la principal cagione non sia l'elettrica ripulsione delle particelle del sangue, per cui saturate egualmente, anzi positivamente, d'elettricità fulminea, si scostan da loro, e dal centro, che è il cuore, e si trasportano alla periferia del corpo, lasciando privi li gran vasi dello stimolo operatore del polso e della vita. Nata pertanto, come mi sembra, da questa combinazione di cause affatto singolare, chiamo col nome di Fulminiseque questa specie d'asfissia.

            XVIII. MUSSCHEMBROEK adotta con me la forza elettrica in questo caso, ma l'interpreta in altra guisa, e l'unisce a due altre cagioni, che sono il terrore, e la forza del vuoto nata dall'espulsione dell'aria col mezzo della saetta. Pensa che operi col distruggere i minimi vasi sì sanguigni, che nervosi; ma non credo che sia accettabile questa opinione. La distruzione de' minimi vasi sanguigni sarebbe segnata da ecchimeri universali, e sarebbe incapace di produr una morte sì rapida; e quella de' minimi vasi nervosi è tanto ipotetica, quanto è quella di que' vasi stessi; d'altra parte li risultati di tante esperienze e di tante osservazioni fatte sulli nervi specialmente in questo secolo, danno il diritto di conchiudere, che questo supposto disfacimento de' tubi nervosi sarebbe poi incapace di produr l'asfissia fulminesequa. Per quello poi che concerne al terror, allo spavento, alla forza del vuoto, io credo che convenga ancora dissentire dal sommo Fisico. Quelle passioni non ammazzano, che lasciano una congestion sanguigna ne' precordj, e fino uno spargimento, che non si è mai osservato ne' fulminati; e l'aria rarefatta per vuoto è incapace affatto di produr le malattie, e le morti con que' caratteri, che ho descritto. Nel vuoto non si muore così sul momento, si anela, si cade, si trema, si rimane colli polmoni pieni di sangue, e con l'esterno tutto tumido, e rosseggiante, vale a dire con dei segni troppo differenti da quelli, che imprime il fulmine, per credere che operi col suo mezzo.

            XIX. Ma io non dissimulo un'obbiezione. Come mai si dirà, il fulmine genera una convulsione nel cuore, dopo che fu osservato capace di produr una paralisi ne' muscoli volontarj, che è quanto a dire un effetto tutto diverso da quello? alla qual obbiezione per altro rispondo primieramente, che la differente struttura, o indole di queste parti potrebbe dar luogo a quella diversità di effetti. Si sa, per esempio, dietro ad ALLER [Albrecht von Haller, Berna, 16 Ottobre 1708 – 12 Dicembre 1777, medico svizzero], e SPROEGEL [Friedrich Sproegel, medico scozzese] tra gli altri, che l'opio minora l'irritabilità nel ventricolo, e l'accresce nel tempo stesso nel cuore; potrebbe dunque darsi che il fulmine facesse lo stesso, e così producesse lo spasimo in un luogo, e la paralisi in un altro. Secondariamente quella paralisi che ho descritto non nasce già da irritabilità distrutta ne' muscoli, onde non convien opporla allo spasimo del cuore. Imperocché la sollecita sua guarigione, la utilità comprovata del rinfrescante governo, mi pare che lo dimostri invincibilmente; giacché que' rimedj che la sanano, siccome è notissimo, la minorano veramente. Credo piuttosto che nasca, perché il fulmine generi una congestione ne' vasellini sparsi per la sostanza de' muscoli, forse anche un'occulta suggillazione, per le quali cause le minime lor fibre, e ancor forse quelle de' nervi, che ad esse sen vanno, restino compresse, distrutte, impedite. Anzi che la durezza, la rigidità di cui si lagnavano gli infermi, quando si estendevano affatto li lor membri ammalati; la mancanza in questi di quella cascante flaccidità, che si accoppia nella squisita paralisi, il senso di confusione, che percepirono in essi al momento della saetta, la forza medicata delle cose antiflogistiche, non tanto avvalorano questa etiologia, ma dan luogo giustamente al sospetto, che su questi muscoli stessi vi si ritrovi in qualche grado un'occulta contrazione.

            XX. Del rimanente io non ignoro che alcuni ricorreranno per tutto ciò ai nervi, alla forza nervosa, agli spiriti animali. Ma se li nervi sono attaccati, ed attaccati primitivamente in questa malattia, essi non lo sono decisamente che nella loro sensibilità che soffre moltissimo nel dolor, che sentono li fulminati: ma in tutti gli altri sintomi, essi come cagion prima, o non ci entrano in modo alcuno, o ci entrano in modo per noi sì misterioso, che non si deve abbandonarsi ad alcuna opinione per interpretarlo. Si vede da ciò, che sul sistema de' spiriti io penso perfettamente quello stesso, che pensava anni fa, quando pubblicai quella confutazione di questo sistema, che parecchi Letterati, e tra gli altri li celebri MICHELITZ [Anton Michelitz, 1747 – 1818] e FONTANA hanno voluto talmente autorizzare, da impartirmi sino l'onore d'appoggiare tal volta le loro alla mia stessa confutazione.

            XXI. Ma perché non si credi, che questa discussione patologica sia indifferente, io prego a riflettere che da essa dipende la cura della mortal asfissia, nella deficienza in cui siamo d'un metodo di trattarla, nato, e comprovato dall'esperienza. Già ognuno si avvede, che la cura di questa malattia non può già essere perpetuamente la stessa; ma che deve accomodarsi alla varietà de' principj, da' quali deriva; che nascendo da una pletora suffocante deve esser trattata con differente governo di allora, che segue al torpor vitale, all'aria mefitica, all'inanizione, allo spasimo ec. Per la qual ragione nascendo nel nostro caso, come mi sembra, da un complesso di cagioni, riducibili per altro alla vitalità troppo accresciuta, e alla ripulsione d'un sangue rarefatto, e sfumante verso la superficie del corpo, parmi di poter dedurre primieramente, che il metodo di cura consigliato dietro a SAGE del celebre BUCHAN [William Buchan, 1729 – 1805, fisico scozzese] così poco convenga, che lungi dall'abbatter la causa, sia atto ad accrescerla, ed a render, se pur troppo non fosse, rapidamente mortale una malattia, che alla morte più d'ogni altra si appressa. Le calde frizioni, le vellicazioni, il fuoco, li stimolanti sotto ogni forma introdotti, l'alcali volatile già formano, come si sa, il prescritto governo. Ora questi rimedj accrescendo l'eretismo delle fibre, l'azion de' vasi, la sottigliezza de' liquidi, il loro afflusso alla circonferenza, lungi dal ripristinar il moto del cuore, lo trattengono anzi in una quiete, che non si vince mai più.

            XXII. Per la qual cosa, se mai quest'asfissia è sanabile, e dalla vera morte disgiunta non tanto, ma ancor alienabile; l'indicazioni curative sono, come si vede, di minorar l'irritabilità del cuore e de' vasi, la rarefazion del sangue, e specialmente il suo trasporto alla circonferenza, e così la nascente inanità precordiale. Quindi io consiglio l'aria fresca, e rinnovata in cui trasportar immediatamente l'infermo; l'acqua fredda, anzi freddissima, colla quale aspergerlo, bagnarlo, anzi immergerlo ancora fino al collo; li clisteri simili, aggiungendo l'acido, e l'aceto costantemente a quest'acque per accrescerne la forza rinfrescante, ripercussiva, condensante, e forse anche l'antielettrica. Che se riesca così di riprodur la nascosta vitalità convien allora compier la cura, soddisfacendo con appropriati rimedj a quelle indicazioni, che di mano in mano si presentassero. Bramo che questo metodo, nato fin qui dalla meditazione, diventi un argomento considerabile per tutti quelli, che presiedono alla salute dell'umanità, onde ricever principalmente dalla loro esperienza la sua approvazione, o la sua condanna.


Appendice
del Sig. Ab. Giuseppe Toaldo
Riflessi sopra i colpi di Fulmine
(Letta il dì 8 Febbario 1787)

            Per conferma, ed illustrazione di quanto espose il Sig. D.r MARZARI nella sua relazione sulle ferite, e morti di fulminazione, ed alcune cure da esso ottenute, soggiungerò qui alcuni altri fatti.
            Quanto alle impressioni cutanee, ulcere, amaurosi ec. si legge nel Giornale di ROZIER (Ottobre 1786) che in un uomo, morto da un fulmine, che entratogli pel calcagno sinistro ne sortì pel corrispondente orecchio, la materia del fulmine avea sforzato il sangue in tutti li vasi della pelle, a segno che risaltavano, come se fossero stati ingettati; e a un caso simile riferito dal P. BECCARIA se ne soggiunge un altro raccontato dal celebre Sig. FRANKLIN al Sig. LE ROI, mentre che un uomo, il quale si attrovava su d'una porta in faccia un arbore, su cui scoppiò un fulmine, si trovò aver impressa nel petto l'immagine di quest'arbore. E un Personaggio illustre mi raccontava aver veduto un Sacerdote in un paese del Trivigiano, il quale colpito da un fulmine, e fortunatamente scappatone, ebbe impressa nel petto una specie di Croce di Malta, la quale ad ogni temporale, anche senza sentir Lui paura, se le alterava di colore, e diventava più livida. Le suggellature poi, o macchie risipletose al sito della percossa, si trovano anche negli animali feriti colle scintille elettriche delle nostre macchine.
            Quanto alla cura d'alcuni fulminati con acqua, aceto, ed altre materie rinfrescanti, è questa un'osservazione nel citato ROZIER (Settembre 1786) del Sig. CARMOI, il quale trattando in una bella Memoria degli effetti delle commozioni elettriche, per levar le impressioni di queste, vale a dire, l'impressione fulminea, provò molto efficace l'aspersione dell'acqua. Bisogna credere col Sig. Marzari, che questo fuoco rarefaccia, ed accenda in certo modo il sangue, e che l'acqua infusa, assorba, o smorzi questo fuoco. S'è veduto nella relazione del Sig. Marzari, che quasi tutti quei fulminati rimasti vivi provarono calori brucianti; ed un mio amico mi raccontava, che un fulmine avenfo colpito un suo fenile nuovo, che uccise anco un Bue nella stalla, ferì un giovane bifolco, che assettava del fieno nuovo nel detto fenile: gridò l'infelice, Padre mi brucio; ma non fu soccorso a tempo, e restò estinto. Più felice fu il Sig. Carlo Cristofori, Giovine Gentiluomo di Bagnorea, il cui caso riferirò colle sue proprie parole, avendolo pregato d'estendermi quest'istoria.
L'abate Giuseppe Toaldo (1719-1797) docente
di astronomia all'Università di Padova
            “Ai 27 di Giugno 1783, verso le ore 20, seguì un orribile temporale in Bagnarea picciola Città nel Patrimonio di S. Pietro nello Stato Pontificio. Continuò un quarto d'ora circa un elettricismo tale nell'aria, che un tuono non aspettava l'altro, e tanto ardenti erano i lampi, che sembrava la Città tutta stare per incendiarsi.
            Toccò in sorte alla Famiglia Cristofori di quel luogo, di provarne una tragica conseguenza. Situata la di lei casa in una perfetta isola, scoppiò un fulmine dalla parte di Ponente d'onde il tempo veniva, e in una camera appunto da quella parte, dove si ritrovavano radunati tutti quelli, che in quell'ora erano in casa, cioè Madre, Sorella, ed io, con il Sig. Ab. Tolomei Ex-Gesuita, una Signora del vicinato, ed una donna di servizio; ed investì quasi tutti.
            Io appunto, che sedevo vicino alla finestra, fui il primo a sentirmi un colpo, o una specie di puntura orribile, sotto la spalla manca, e parvemi di essere preso, e rotolato a capitombolo nei sotterranei della casa; e ritornato da questa vertigine, mi pareva di sentir una biscia, che mi circondasse il braccio sinistro, e che a viva forza volesse scapparmi dalla mano, che tenevo ben chiusa; tutto questo fu un istante; grido: son colpito, son morto. Accorre la Madre, che si credeva anch'essa colpita (ma era stato un mattone scagliato), le gittò le mani al collo: ella a viva forza mi solleva dalla sedia; ma quantunque donna robusta, cedette al mio peso, e cadde meco sul pavimento, ed allora mi avvidi, che dal mezzo in giù ero perduto. Dal punto, che ritornai dalla detta vertigine fino alla mia caduta, sarà passato circa un mezzo minuto di tempo; nel qual tempo ho sentito sempre dentro di me una fiamma divoratrice, la quale, appena caduto, era talmente cresciuta, che veramente mi pareva sentirmi abbruciare tutte le viscere, onde ho creduto sicuramente di trapassare; onde, oltre l'assoluzione, chiesta per carità dell'acqua al Sig. Ab Tolomei per l'interno incendio, che non posso esprimere, mi versò addosso, dalla testa fino alle piante, una giara d'acqua che si trovò pronta, capace di tre boccali circa. Con questo refrigerio parvemi di ritornare in vita, ed essendomisi fatta nuova innondazione poco minore, svanì affatto quell'incendio divoratore; e quel che è molto rimarcabile, né l'Ab. Tolomei, né io, né alcun altro degli astanti potè trovare dove fosse andata quell'acqua, non vedendosene segno né sugli abiti, che erano asciutti, ed ero vestito sotto di pelle, né sul pavimento di mattoni; segno probabile, che quest'acqua era stata, o volatilizzata dal fuoco, che chiamò fuori dal corpo, o piuttosto assorbita dal sangue estremamente rarefatto, e bollente. Questo è il fatto più rimarcabile.
            Nel resto i vestiti furono illesi, e solamente restarono tinti quasi d'una patina di fumo, e per molti giorni tramandarono un orribile puzzo di zolfo, o bitume.
            La paralisi negli arti inferiori cessò presto; un'indolitura per tutta la vita, e segnatamente alle reni, svanì con le fregagioni, e con lunga equitazione.

Impianto parafulmine della Specola di Padova da G. Toaldo,
Dell'uso de' conduttori metallici, Venezia 1774
            Nel sito del primo colpo si trovò nella cute una marca a guisa di spica o freccia alata, ed una simile nel piede sinistro: durarono una ventina di giorni senza grave molestia: prima erano d'un color vivissimo sanguigno, quindi divennero negre, in ultimo gialle, e così svanirono”.
            Si omettono altre circostanze, ed altri effetti di questo fulmine, che non fanno al proposito; notandosi solamente, che 22 anni avanti, nel 1761 ai 13 di Giugno, mentre il Sig. Carlo era in villa, nato di 9 giorni, un fulmine percosse quest'istessa camera, ov'era anche a letto la Madre puerpera.


            P.S. Sopra questo argomento de' colpi e cotracolpi de' fulmini, veggasi l'estratto d'una dotta Memoria del Dizionario Enciclopedico di medicina, ne' Commentarj Bibliografici di Torino, Agosto 1792.


[1]    L'Eccell. Magistrato alla Sanità di Venezia, intesi tanti funesti accidenti cagionati da questa batteria di fulmini, ordinò prima a tutte le Parrocchie del distretto di Castelfranco di porre Conduttori ai Campanili, poi, mentre ogni anno e in ogni paese succedono simili disgrazie, estese la massima a tutte le Provincie dello Stato, facendo nello stesso tempo stampare e pubblicare una istruzione facile e popolare per costruire i Conduttori medesimi, e porta per titolo: Maniera pratica di fare li Conduttori ai Campanili, alle Chiese ed alle Case, descritta per uso de' Fabbri, Falegnami, e Muratori, e per la gente delle ville e del popolo: stampata per ordine del Magistrato Eccellentissimo alla Sanità 1787, in Venezia, per li Figliuoli del qu. Z. Antonio Pinelli, Stampatori Ducali, in 4°.


Nessun commento:

Lettori fissi